La debacle del Pd
Inutile girarci attorno. Padova e Lecce non valgono Genova, La Spezia, Piacenza, Parma, Pistoia, Alessandria, Como, Monza, Lodi, perfino Sesto San Giovanni, la Stalingrado lombarda. Non valgono il 5 a 0 subito in Emilia dove dopo Piacenza e Parma cadono sorprendentemente Budrio, Riccione e Vignola (dopo che perfino la Campegine dei fratelli Cervi era stata espugnata). Non valgono la mancanza del ballottaggio nella popolosa Verona, dove la candidata appoggiata dal Pd é stata sconfitta dal centro-destra, e nemmeno la perdita di Carrara, unica città finita ai Cinque stelle.
Si dirà che é solo un voto amministrativo. Lo hanno sottolineato i grillini che sono usciti sconfitti al primo turno. E’ vero, il dato amministrativo non é sempre rapportabile a quello politico. Eppure quando i pentastellati conquistarono Roma e Torino si gridò alla vittoria e al nuovo fenomeno che stava facendo le prove generali per governare il Paese. E quando alle Europee, che non sono anch’esse da equiparare alle politiche, il Pd di Renzi conquistò il 40 per cento si pensò all’inveramento del progetto veltroniano del partito a vocazione maggioritaria.
Qualcosa succederà adesso nel Pd. Da un lato Romano Prodi continuerà a tessere una tela che appare quanto mai sdrucita. Dall’altro Pisapia lancerà la sua proposta e Mdp si leccherà i baffi (di D’Alema) tentando di approfittare di una crisi a cui daranno un nome e un cognome. E tutti i dissidenti di sinistra denunceranno il dato, invero preoccupante, di un elettorato tradizionale che alla sinistra ha voltato le spalle rifugiandosi nell’astensione (ancora l’Emilia ne detiene non a caso il record). E tutti guarderanno Renzi, il quale certo non potrà, dopo le sconfitte di Roma e Torino, quella al referendum del 4 dicembre e la débacle alle comunali, far finta che non sia successo niente.
Mauro Del Bue
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