Da il Resto del Carlino. Le crepe di Reggio. Gli ex Stalloni, storia di un’area parzialmente ancora trascurata
Un tempo si parlava degli ex Stalloni come di uno dei “buchi” di Reggio. Gli altri erano la ex Zucchi, il carcere e le due aree esterne: Sarsa e Makallé. Si immaginava il centro storico come una sorta di formaggio Emmental. Piano piano i buchi si sono riempiti anche se in modi diversi da quelli progettati. All’ex Zucchi doveva sorgere un parco congiunto, attraverso l’eliminazione di via Allegri, con quello dei giardini pubblici, dotato di un ampio parcheggio sotterraneo. E invece é stato ubicato un parcheggio di superficie che doveva essere solo transitorio. Transitorio dal 1980… Nelle due aree esterne, Sarsa e Makkalé, che il piano del centro storico aveva introdotto come aree di servizio, chiamate allora “le due orecchie della città”, sono sorti da un lato un centro commerciale e dall’altro un direzionale. Di parcheggi solo quello della Esselunga, ma utilizzabile esclusivamente da chi si reca a far spesa. Il carcere é rimasto buco, e si é aggiunto dal 1991 il vecchio manicomio giudiziario o ospedale psichiatrico di via dei Servi. Gli ex Stalloni sono stati recuperati, ma una vasta area attigua é tuttora desolatamente inutilizzata. O meglio, male utilizzata. Prima qui transitavano anche cavalli di razza. Penso al grande Tornese che divenne stallone, ma in età ormai avanzata. Dai cavalli si passò alla musica e alla storia. Qui da anni é ubicato l’Istituto Peri, qui insiste l’Istoreco. Le note dei pianoforti si ascoltano volentieri mentre si transita in via Dante e ci si infila nel primo cortile del complesso. L’archivio completa un luogo dedicato alla cultura. Ma da dove nasce questo immobile, quando é stato recuperato, come si trova oggi? Qui c’erano i chiostri di San Domenico, da non confonderli con quelli, riconsegnati a noi quasi intatti, di San Pietro. La storia deve risalire fino al 25 luglio del 1233 quando i reggiani, entusiasti delle predicazioni di fra Giacomino da Reggio, iniziarono la costruzione di una chiesa e di un convento per i frati domenicani. Anche a spese loro. Come faranno con la Basilica della Ghiara nel primo Seicento e poi col teatro Municipale a metà Ottocento. E perfino con lo stadio Giglio. Nel Quattrocento la chiesa e il convento vennero ampliate e fu costruita una biblioteca. Qui nel Cinquecento venne ubicato il tribunale dell’Inquisizione, forse col compito di bruciare gli eretici di Reggio e anche di Parma. La giurisdizione era “interprovinciale” e almeno l’Inquisizione aveva preferito stabilirsi a Reggio e non Oltrenza. Uniti dentro il fuoco che annulla i campanilismi. Fuoco o no le prigioni furono costruite a fianco del convento. Preti carcerieri? Il grande inquisitore mi ricorda il basso del don Carlos di Verdi. Cupo e terribile. Sempre nel Cinquecento il convento fu ampliato ulteriormente e venne costruito il Chiostro grande. Nel Settecento di fatto il luogo divenne laico. Basta domenicani, ma non ancora cavalli. E ospitò malati, in particolare militari di ritorno dalle guerre, soprattutto in età napoleonica. Il complesso venne anche fortemente ristrutturato. Poi dal 1860 fu destinato a deposito di cavalli stalloni subendo un nuovo radicale intervento edilizio. Certo che dall’Inquisizione agli stalloni, sia pure a due zampe, di strada questi immobili ne avevano fatta. Emancipazione forzata? Nei primi anni ottanta del Novecento il definitivo restauro e gli ex Stalloni vengono riconsegnati alla città. Lo stile tende a ripassare i diversi interventi subiti e ci consegna anche due lunette tra il primo e il secondo cortile che recano tracce di dipinti seicenteschi. Resta il lato prospiciente a est, con un largo cortile ancor oggi utilizzato per un deposito di mezzi del comune, e davanti l’area del cinema estivo gestito dall’Arci. Sul lato di via Samarotto resistono le casematte marcescenti e assai devastate dal tempo. Anche il nuovo muro degli ex Stalloni é oggi in condizioni precarie. Trenta e più anni non sono pochi senza manutenzione. Tempo fa lanciai un progetto assieme all’Arci per il recupero di quest’area trasformandola in parco, con gli edifici su via Samarotto destinati a circolo Arci, a centro multimediale e soprattutto alla sede del Museo della bicicletta. Che fine abbia fatto questo progetto non saprei. Non ho notizia se i nuovi amministratori se ne stiano ancor oggi occupando. Il costo dell’operazione si aggirava, pochi anni orsono, sui 500 mila euro, un decimo del costo del restauro definitivo del pala di via Guasco. Con verde, giochi bimbi e tutte le bici del vecchio Cimurri, oggi tenute in un magazzino comunale, in bella mostra. Ne valeva la pena, credo. Adesso no?
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