Livorno, un altro disastro della natura?
Assistiamo in questi ultimi tempi all’insorgenza di fenomeni distruttivi di portata mai vista. Terremoti, uragani, alluvioni. Il mondo é davvero fuori controllo. Il clima è cambiato. In Italia il riscaldamento é tangibile e le stagioni mutano il loro carattere. Se piove diluvia, se diluvia i fiumi e anche i piccoli torrenti rischiano di esondare. Viviamo le conseguenze solo di un mutamento climatico o paghiamo anche i nostri errori? E’ insomma colpa della natura o é anche e soprattutto colpa nostra visto che dai suoi fendenti non sappiamo difenderci. Era prevedibile in passato questo cambio di passo? Perché non si è dato retta agli scienziati che ci avevano ammonito. E perché i vertici tenuti sull’ambiente, da Rio de Janeiro del 1991 a Parigi di oggi, non hanno sortito che impegni generici, peraltro contestati dal nuovo presidente americano?
In Italia, penisola attraversata da catene montuose e circondata dal mare, segnata da molteplici corsi d’acqua, grandi, medi, piccoli, in parte anche sotterrati, il fattore natura in che considerazione è stato tenuto? Ogni volta che accade un terremoto, dalle Marche a Ischia, si invocano piani di verifica e di consolidamento delle abitazioni, evidentemente costruite senza tenere conto di eventi sismici. E’ dilagante ancora, in varie parti del paese, il fenomeno dell’abusivismo che in troppi continuano a difendere per motivi elettorali. Ogni volta che assistiamo a una inondazione, da Genova (se piove, e non era mai successo, si é rinviata una partita di calcio, perché la sola pioggia nella capitale ligure può portare rischi alla vita delle persone) a Livorno, si passa dall’acqua all’annegamento e alla morte. Ma anche in queste città cosa si é fatto per mettere le persone al sicuro da eventi simili?
A Livorno un corso d’acqua ha rotto gli indugi e ha allagato l’area circostante. In una palazzina una famiglia che abitava in un seminterrato é stata quasi distrutta. Si é salvata solo una bimba di tre anni portata a terra dal nonno che poi si è rigettato in acqua per salvare gli altri familiari ed é stato mortalmente travolto anche lui. Una scena da anni venti, da paese del terzo mondo. Una scena che si è verificata in una delle città più moderne d’Italia. Al di là del balloccamento delle responsabilità tra il sindaco Nogarin, sull’allarme arancione e non rosso, e il presidente della Regione Rossi, sulle carenze e i ritardi del Comune, restano due semplici domande. La prima é riferita alle verifiche sulla tenuta della copertura di un piccolo torrente che evidentemente poteva tracimare. La seconda é riferita all’abitabilità che l’ente locale ha dato su un appartamento situato in un seminterrato dove di solito vengono collocate le automobili.
Tutti hanno parlato di evento eccezionale e non prevedibile. E’ vero, si é trattato di un evento eccezionale, ma l’eccezionalità é oggi la regola e non può trovarci impreparati. Cosa ancora dovrà avvenire per renderci conto che l’emergenza ambientale é il primo e più impellente problema che dobbiamo affrontare? E che dopo terremoti, cataclismi, inondazioni, allagamenti, cicloni (in Italia non sono ancora arrivati) noi, anche e soprattutto noi italiani, ci dobbiamo dotare da un lato di una legislazione emergenziale e dall’altro dobbiamo al più presto passare dalle parole ai fatti e mettere in campo un grande investimento, il più urgente e necessario, per verificare la condizione delle nostre abitazioni e renderle consone alla nuova situazione e per mettere in sicurezza il territorio. Continuare a mettere la testa sotto la sabbia serve a nulla. Almeno nel 1951, dopo la grande alluvione del Po, che costò ingenti danni e morte, si cominciarono a costruire barriere e infrastrutture varie che hanno consentito, per anni, che questi disastri non si ripetessero. Oggi quanti morti dovremo ancora contare prima di iniziare a correggere i nostri guasti architettonici e ambientali?
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