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Onestà, onestà

6 Dicembre 2017 1.215 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Si fa un gran parlare (ne hanno scritto Galli della Loggia sul Corriere cui ha risposto Biagio de Giovanni su Il mattino) dei caratteri dei Cinque stelle. Si possono definire eversivi ma certo si possono definire, a giudizio di entrambi, ignoranti. Tralascio il resto e metto in campo tre osservazioni: una sulle anomale caratteristiche del partito, la seconda sulla inadeguatezza della sua classe dirigente e la terza sul valore della proclamata onestà. Ne scrivo perché non si può evitare di parlare di un movimento che alle prossime elezioni viene pronosticato come il primo partito italiano e che dunque potrebbe anche, qualora le combinazioni possibili per comporre una maggioranza di centro-destra, di centro-sinistra o di unità nazionale dovessero risultare impossibili, anche assumere responsabilità di governo.

Sul piano della natura del partito i Cinque stelle vantano due prerogative del tutto contraddittorie. Una si poggia sulla cosiddetta democrazia diretta dei loro iscritti praticata attraverso il web. Parlamentarie, primarie, anche misure disciplinari sono decise dagli iscritti (che sono una quantità ridotta), e non da platee aperte come avviene nel Pd, sulla base di rigide indicazioni nazionali. Da sottolineare che anche i provvedimenti disciplinari (che si sono spesso trasformati in veri tribunali del (poco) popolo), sono poi stati riformulati alla luce degli interessi del movimento (vedasi la diversa attenzione agli avvisi di garanzia se pervenuti ai suoi esponenti o agli altri). Tutto questo però é gestito rigidamente da chi possiede le chiavi del potere mediatico e che mantiene la leadership materiale del movimento: la Casaleggio srl. Dopo la morte del padre, come in una monarchia o in una semplice azienda privata, il potere reale é passato al figlio che con Beppe Grillo detiene l’assoluto e inespugnabile dominio del movimento.

Immaginiamo dunque che questa sorta di monarchia a democrazia diretta si trasferisca a Palazzo Chigi. Il candidato premier Giggino Di Maio non sarebbe un uomo libero o solo condizionato dalle maggioranza parlamentari e politiche del suo partito. Sarebbe l’inviato di un leader, un comico, a sua volta pilotato da una società privata con al vertice l’erede del capo. Un pasticcio di proporzioni tali che il conflitto d’interesse di Berlusconi impallidisce. Ma veniamo al secondo punto. Quale esperienza politica o anche solo amministrativa ha maturato la classe dirigente dei Cinque stelle e con quale programma sui temi dell’economia, della politica estera, in particolare sull’Europa e l’immigrazione, avrebbero intenzione di governarci costoro? A parte la trovata del reddito di cittadinanza e l’ultima uscita sul rimborso per tutti i risparmiatori derubati dalle banche (lo stato che si fa carico delle malefatte dei privati con soldi recuperati da indefiniti tagli di spesa), manca un progetto. Lasciamo perdere la triste esperienza della giunta Raggi a Roma, roba da stropicciarsi gli occhi, ma quali sarebbero le personalità dei Cinque stelle, oltre al futuro presidente Di Maio, che potrebbero onorevolmente rappresentare l’Italia in Italia e nel mondo?

Loro sono onesti, almeno. Questo si sente dire in giro. Come se tutti gli altri fossero disonesti (anche Berlinguer era finito in questo imbuto). Ma anche se fosse vero, può bastare? Pubblico a tal proposito una pagina di Benedetto Croce ripresa dal suo Etica e politica, che sembra scritto oggi da un provocatore incallito e degno di immediate reprimende da parte del nuovo showmen televisivo Piercamillo Davigo: “Quel che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine. È strano (cioè, non è strano, quando si tengano presenti le spiegazioni psicologiche offerte di sopra) che laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatorie, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura. Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica? » si domanderà. – “L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze”.

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