Passeggiando per Reggio. Seconda puntata. Da il Resto del Carlino
Qualcuno mi ha confidato che sono stato crudele. Ho messo in evidenza solo quel che non va, quel che è degradato, quel che tarda a essere restaurato. Non é proprio così. Ho parlato del buon risultato del bando facciate, del buon recupero di palazzo Masdoni, del buon rifacimento del lastricato di piazza Prampolini. Forse, però, la critica ha un suo fondamento, ma anche una giustificazione. Ho preferito concentrare l’attenzione su quel che è deteriorato, come sollecitazione a far qualcosa, subito, senza attendere nuovi bandi, sindaci, giunte. Per amore della mia città, che é essenzialmente quella storica, concentrata in quell’esagono perfetto un tempo corredato da mura. A questo proposito sul banco degli imputati, per così dire, ho messo i proprietari per ciò che riguarda le facciate, il Comune per le strade, l’illuminazione e i portici. Senza confondere le une con le altre. Dopo l’obbligatoria premessa, riprendo il cammino. Stavolta all’opposto. Non tra cerchi di dannati, mi manca il poeta che m’accompagna, ma tra piazze, vie e viottoli, partendo da porta Santo Stefano. Da quel monumento del pittore, più che scultore, Marco Gerra, che mi appare l’unica cosa buona, perché colorata, serena, ammiccante in un deserto di cemento grigio. Con muraglioni densi di scritte e scarabocchi, quell’”Hasan ti amo”, che ha ricoperto i muri del centro per narcisismo dell’autore, e con la via Emilia contornata di piastroni che forse dovrebbero fungere da panchine per improbabili soste a rischio Co2. Non era meglio il verde, non erano meglio gli alberi? Poi le prime due case d’ingresso a Reggio anch’esse grigie. Tristissime. Invecchiate, mai restaurate. E finalmente il primo tratto di via Emilia Santo Stefano ben ordinato, con piastrelle che a San Pietro non si vedono, con lanterne che non si capisce perché debbano interrompersi da piazza Gioberti fino all’ex Standa. Gli immobili qui sono tutti restaurati. Belli, freschi, alcuni però disabitati. Molti negozi sono chiusi. Nel tragitto ne ho contati più di venti. La crisi non é solo di Reggio. Piazza Gioberti é un cantiere. Qui é stata rinvenuta la vecchia via romana. Qualcuno allora ha avanzato l’ipotesi che il Crostolo a quei tempi non passasse di lì. E da dove allora, e chi lo avrebbe portato nell’attuale corso della Ghiara? I barbari? No, il Crostolo passava di lì fino al 1235, quando il suo corso venne deviato all’ingresso della città e poi nel 1575 venne portato nell’attuale alveo. Splendidi tecnici idraulici i vecchi reggiani. M’infilo in via Guasco e ammiro il nuovo splendido selciato e la nuova illuminazione. Poi m’imbatto in due edifici, di fianco al palasport, che sembrano catapecchie rustiche, vecchi rifugi montanari, edifici bombardati. Perfino pericolanti. E restando al Pala, prendo atto delle scelte compiute in tema di ampliamento, che mostra due scale in ferro all’esterno mentre due lati, semi arrugginiti e l’uno con scale che si inerpicano a un palmo dai chiostri della Ghiara, sono esattamente come prima. Almeno completatelo, signori della giunta. Possibile lasciare le cose a metà? Riprendo corso della Ghiara e cammino nella via parallela alla via Emilia. La parte posteriore di palazzo Allende é un rudere. Provincia senza soldi? Delrio correggiti. Poi l’edificio dell’intendenza di finanza, chiuso e marcescente. Arrivo nel retro del palazzo del Municipio. Possibile che in via delle Rose ci siano muri sporcati da scarabocchi e geroglifici che durano da un quinquennio? Il proprietario chi é? Ah, il Comune. Non se ne sono accorti? Tiro dritto ed entro in via Caggiati, e qui i negozi e le abitazioni sono rare. Regna, tra le buche sulla strada e i muri infangati, un alto tasso di degrado. Meglio quel che si chiamava Carnaby street, e cioè vicolo Trivelli, oggi però desolatamente vuota. Solo vetrine chiuse. Un deserto dove prima era vita. Altro che Carnaby. Più avanti palazzo Busetti, e dentro Sambirano che ha chiuso i battenti. Oh, Santo cielo… Finalmente, credo Montipò, ha sistemato i lampioni di via Crispi, nuove laterne. Poi la piazza con l’errore che ho avuto più volte modo di registrare. Questa é la piazza dei teatri, non della nuova fontana. I teatri dovevano essere al centro del progetto. E invece c’é il fontanone. Qui l’asse era quello della vecchia Cittadella rispettato dalla costruzione del Municipale nel 1857 e del monumento dei Caduti nel 1927. Niente da dire sul resto, sugli splendidi platini e le panchine musicali, anche se l’idea di piazza Tienammen é forte. Come quell’isolato San Rocco, che l’architetto Portoghesi aveva deciso di coprire nel concorso di idee del 1985, con qualche ragione, che si propone un po’ troppo in bella vista. Ma quella fila di piloni illuminati che tagliano in due l’Ariosto sono un colpo al cuore. Per chi ama il teatro. Per chi ama la piazza dei teatri. Un taglio spietato alla storia e all’architettura. L’Ariosto, furioso, protesterebbe.
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