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L’intuizione di De Michelis

12 Marzo 2019 660 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Già negli anni ottanta l’allora ministro socialista Gianni De Michelis aveva intuito due cose. La prima riguardava la straordinaria opportunità economica fornita all’Italia dai suoi beni architettonici e artistici, che volle definire, come se fossero una materia prima, “giacimenti culturali”. La seconda era relativa all’idea che l’Italia, collocata nel cuore del mediterraneo e dinnanzi al Canale di Suez, divenisse il porto europeo naturale per il grande traffico di commercio da e per l’Estremo Oriente. Come spesso capita, quando poi le cose si verificano, anche se in modi affatto diversi e forse anche preoccupanti, ci si dimentica dell’idea originale e di chi l’ha fornita.

Così oggi parliamo di via della seta, di nuovi rapporti commerciali tra Italia e Cina, ben sapendo che la materia e regolata da una legislazione europea, dei porti di Trieste, di Venezia, di Genova, dove sarebbero intenzionati a investire i cinesi. Viviamo nel mondo globalizzato e nessuno può stupirsi o scongiurare queste nuove attenzioni. Semmai dovremmo porci tre ordini di problemi. Primo. Se l’Italia é l’approdo naturale dell’Oriente e se le leggi che regolano il commercio appartengono alla Ue, l’Italia ha il dovere di concertare le sue mosse con gl altri paesi, perché le grida lanciate in questi giorni da settori dell’informazione tedesca certo non agevolano il cammino.

Secondo. Quando si parla di investimenti nei porti, e conseguentemente nelle infrastrutture viarie e ferroviarie, il governo italiano si faccia un esame di coscienza. Rispetto alla Spagna che, investendo massicciamente in questo settore, sta crescendo del 2,4 per cento, l’Italia è ferma. Non solo non investe sui porti, ma blocca la Tav e con essa ben 600 infrastrutture già finanziate. Colpisce al cuore l’economia e frena l’occupazione. Terzo. Il vero problema, certificato dal Wto, é il mercato unico mondiale con economie che hanno costo del lavoro e dunque del prodotto così differenti. Quel che darebbe respiro all’economia italiana nel mercato globale é l’aumento dei salari dei lavoratori cinesi. Paradossalmente gli industriali italiani, ma anche europei, dovrebbero finanziare una massiccia sindacalizzazione in Cina, che un sistema a partito unico, sia pur comunista, però non consente. Ecco che la questione commerciale diventa questione democratica. E’ interesse di tutti la democratizzazione del sistema cinese. Una dittatura vince la sfida economica con una democrazia. Senza pluralismo politico il pluralismo economico è drogato.

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