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Il successo del Psoe e noi

30 Aprile 2019 612 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il Psoe di Pedro Sanchez ha vinto le elezioni spagnole. Ha sfiorato il 30 per cento dei consensi aumentando considerevolmente in percentuale e seggi, é dunque il partito di maggioranza relativa e l’unico in grado di formare un governo di coalizione, forse assieme a Podemos, ai baschi e ai catalani se ovviamente questi ultimi saranno disponibili. Questo successo testimonia che il socialismo europeo non solo non è defunto, ma costituisce una valida alternativa al populismo, al sovranismo, all’estremismo di destra che anche in Spagna, prendendo le forme del movimento di Vox, ha raggiunto il 10 per cento dei suffragi. Una percentuale non irrisoria, ma decisamente minoritaria.

I veri sconfitti sono i popolari che col 16 per cento dimezzano i loro voti, mentre Podemos cala e i centristi di Ciudadamos restano più o meno stabili. Presenti e decisive sono invece le forze dell’indipendentismo basco e catalano che nelle rispettive regioni fanno man bassa di voti, in Catalogna non il partito di Puigdemont che cala vistosamente, ma quello repubblicano indipendentista del carcerato Oriol Junkeras. Ovvio che se il Psoe non vuole fare maggioranze di unità nazionale anche gli indipendentisti diventano necessari. A quale prezzo però lo vedremo. Resta il fatto che tra sinistra e centro-destra il rapporto non cambia granché. Nessuno ha i 176 seggi per governare.

Non si può che salutare con gioia l’affermazione del partito socialista iberico e augurare alla Spagna che, in contrasto con la tesi secondo la quale la stabilità politica aiuta la crescita economica é il paese europeo che continua a crescere di più nonostante l’instabilità e le tensioni dovute all’indipendentismo, si formi un governo presieduto da Sanchez e in condizioni di ottenere una maggioranza parlamentare. In molti vorranno suggerire paragoni ed equivalenze tra la situazione spagnola e quella italiana e in particolare, immagino, i socialisti delusi e insoddisfatti che dal risultato spagnolo traggono fiducia nel futuro di un nuovo partito socialista italiano. Cerco di ragionare su questo.

Parliamo in effetti di un nome giacché un partito del socialismo europeo in Italia esiste ed é il Pd. Che sia o non sia socialista m’interessa poco giacché anch’io non capisco a quale socialismo si ispirino coloro che ne giudicano l’identità. Che abbia scelto di definirsi democratico, caso unico nel contesto europeo, e non socialista o socialdemocratico, non é però casuale. Già nel 1989 quando Occhetto decise di superare il Pci e di avviarsi verso la fondazione di un nuovo partito non pensò di agganciarsi all’identità socialista italiana, ma solo a quella europea tanto che, rifiutando l’unità socialista, decise poi di fondare un Partito democratico di sinistra. Questo perché il terrore, lo disse e lo scrisse D’Alema più tardi, era di finire in braccio a Craxi, cioè al Psi. Quello che sarebbe stato giusto storicamente di fronte alla fine del comunismo e del Pci, che avvennero nell’ordine e la seconda si manifestò in conseguenza della prima, e cioé la ricomposizione dell’unità dei socialisti, divisi in due, in Italia addirittura in tre, tronconi, non si realizzò. Tangentopoli risolse d’incanto tutte le contraddizioni e mise i vincitori sul banco dei colpevoli, anche per responsabilità, politiche e non solo, di chi non s’accorse di nulla. E si scelse di fondare, nel 2007, un nuovo partito, il Pd, che fino alla segreteria Renzi, non aderiva al socialismo europeo ed era la sintesi delle identità e delle storie  post comunista e post democristiana, oltre che espressione di dirigenti che da quelle storie derivavano, con l’aggiunta di un kennedismo veltroniano che si sposava con la scoperta di Obama e del suo slogan, subito italianizzato.

Tutto questo si poneva fuori non solo dal contesto socialista italiano ma anche da quello europeo. Fu Renzi a correggere, in parte, l’anomalia iscrivendo il Pd al Pes ma non all’Internazionale socialista. Attenzione perché nomen est consequentia rerum, come dicevano i latini. E la scelta di un altro nome é stata generata da una duplice opzione politica: quella di non ammettere la ragione storica del socialismo democratico italiano e quella di rendere possibile una fusione, in realtà mai avvenuta, tra due tradizioni (quella comunista e quella democristiana) che in passato sono state quasi sempre contrapposte. Questo però ha prodotto una confusione di identità e dunque di propositi, un legame scialbo e di facile soluzione tra militanti, e anche elettori, e partito, una netta e incontrovertibile contraddizione tra la decisione di aderire al Pes e quella di esaltare solo esponenti italiani dal passato non socialista, ma comunista (Gramsci e Berlinguer su tutti) o democristiano (La Pira e Moro sugli altri).

D’altronde, perché negarlo, la sinistra italiana é stata storicamente anomala rispetto a quella europea. Fino al 1966 l’unico partito italiano ammesso all’Internazionale socialista era il Psdi di Saragat. E anche ai tempi di Craxi il rapporto tra un partito socialista europeo e un partito comunista era, e di molto, favorevole a questo secondo, anche se bisogna riconoscere che era il Pci berlingueriano a sviluppare migliori relazioni delle nostre coi partiti socialisti francese e tedesco. Diciamo allora che l’anomalia italiana di oggi è in qualche misura il risultato dell’anomalia italiana di ieri. E che sbagliano coloro che pensano di risolverla d’incanto, magari prendendo oggi a prestito il risultato del Psoe e ieri quello di Corbyn per cambiare la sinistra italiana. Come sbagliavano quelli che nei primi anni settanta intendevano trasferire in Italia Epinay e l’union de la gauche, quasi Pcf e Pci fossero stati la stessa cosa e uguale fosse il sistema elettorale e di assetto dello stato dei due paesi. Dipende da noi, e non dai socialisti di altri paesi, il nostro futuro.  Salutiamo con favore il successo dei socialisti in Spagna, ma non pensiamo che questo successo sia di per sé un lasciapassare per il rilancio di un soggetto socialista in Italia o attraverso il cambiamento identitario e nominale del Pd o attraverso la fondazione di un partito dal socialismo puro. Le anomalie della storia non si eliminano con un’espressione di volontà.

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