Sul socialismo (appunti per un confronto)
Ho tentato in un editoriale di rilanciare la questione socialista avanzandola come confronto con tutti gli interessati che di socialismo parlano a volte con piena coscienza e altre volte, a mio giudizio, un po’ superficialmente. Qual’é il socialismo di cui si parla? Dopo la vittoria di Sanchez e del suo Psoe in Spagna verrebbe subito da rilanciare il socialismo iberico. La Spagna però non è l’Italia e la proposta socialista di Sanchez bisogna conoscerla bene prima di giudicarla. E poi la Spagna, come il resto dell’Europa, non ha conosciuto la rivoluzione giudiziaria e politica che ha chiuso in Italia, almeno per ora, la fase dei partiti identitari.
Ma restiamo a Sanchez. La Spagna ha una tradizione socialista che l’Italia non ha conosciuto. Subito, all’uscita dal franchismo, il Psoe divenne il primo partito della sinistra anche grazie alla leadership di Felipe Gonzales e poi il primo partito del paese, ponendo lo stesso Gonzales a capo del governo. In Italia all’uscita dal fascismo il Psi sprecò la sua maggior forza ottenuta nel 1946 rispetto al Pci con una dissennata politica di subalternità al comunismo italiano e sovietico, rendendo indispensabile una scissione e consegnando ai comunisti fino al 1989 la supremazia a sinistra. La vittoria del Psoe non é una sorpresa, come non lo é la mancata esistenza in Italia di una forza socialista di dimensioni accettabili.
Il tema semmai é il seguente. Perchè solo in Italia non esiste oggi un soggetto socialista, dichiaratamente socialista, come per la veritá non esiste, da ben 25 anni, un soggetto dichiaratamente democristiano, liberale, comunista? Il Pd é oggi, nonostante il nome, un moderno partito socialista europeo e italiano? E se non lo è perchè, quali sono le obiezioni che gli si addebitano? Vogliamo cominciare a discuterne serenamente? Alla prima domanda la risposta é semplice. Il sistema politico italiano (l’unico che preveda i partiti come istituzioni costituzionali) é crollato perché era l’unico caratterizzato da una massiccia presenza comunista finanziata, fino alla fine degli anni settanta, direttamente dall’Urss e dunque l’unico segnato da una conseguente necessità di concorrere con partiti pesanti e altrettanto illegalmente finanziati. L’89 ha fatto piazza pulita non solo del Pci, ma dell’ubi consistam del sistema politico italiano.
Con un’amnistia, sciaguratamente approvata anche dagli altri partiti proprio nel’autunno stesso anno, é stata regolarizzata la questione dei finanziamenti illegali al Pci, in primis quelli provenienti dall’Urss, e Tangentopoli ha potuto colpire solo quelli del triennio 1989-1992. Così sostanzialmente salvando l’ex Pci divenuto Pds e contribuendo al crollo del muro di Berlino in Italia sulla schiena dei partiti non comunisti. Il sistema, con il Mattarellum, é divenuto poi maggioritario e nessun partito della prima repubblica ha resistito al triplo urto: quello politico, giudiziario ed elettorale. Da allora, e son trascorsi 25 anni, in Italia non esistono più partiti identitari, che reggono invece negli altri paesi europei.
Perché il Pd non sarebbe un partito socialista? Qui le obiezioni sono molteplici. Non mi convincono quelle che vengono rivolte in particolare al renzismo e che assomigliano molto a quelle che il Pci rivolgeva al craxisimo. E cioè di aver smarrito il dna, di non essere di sinistra, di non fare gli interessi dei lavoratori, di avere rotto con la Cgil. Ad ognuno di questi affondo bisognerebbe rispondere nel merito. Quello che invece sarebbe opportuno prima o poi affrontare é una questione nient’affatto nominalistica. Perché il Pd è l’unico partito che aderisce al Pes e che ha deciso di non chiamarsi nè socialista, nè socialdemocratico, nè laburista? Non si tratta solo di una questione formale. La ragione é politica.
Il Pd é nato come unione tra Diesse e Margherita, cioè tra gli eredi del Pds-Pci e dell’ex Partito popolare-Dc almeno in prevalenza. Qualcuno lo volle definire “compromesso storico bonsai”. Tanto é vero che fino alla segreteria Renzi la visione veltroniana non guardava affatto al socialismo europeo, ma all’America sia nei punti di riferimento (Kennedy, Obama), sia nel nome del partito. Ma c’é un altro motivo, anche più profondo. Alla radice sta la necessità di non riconoscere le ragioni storiche del socialismo democratico italiano, di non percorrere la strada che avrebbe dovuto portare alla unità socialista dopo la fine del comunismo. Si é preferita un’altra strada rispetto a quella giusta storicamente e politicamente e questo percorso é stato favorito sia dagli errori politici del gruppo dirigente del Psi, che non comprese le conseguenze politiche, e non solo, dell’89 italiano, sia da una strabica rivoluzione giudiziaria che colpì alcuni ed esentò altri seguendo una logica politica. Da comunisti si é divenuti così democratici di sinistra, poi democratici tout court, poi anche socialisti europei, ma mai socialisti o socialdemocratici italiani.
L’incollatura di due tradizioni, di due programmi, di due identità non hanno creato un partito, ma un coacervo di tendenze in lotta tra loro e uno scarso legame tra aderenti e partito. Prendo per buona l’anticipazione di una frase estrapolata dal suo libro “Piazza grande” (pensavo ne fosse autore Lucio Dalla) di Zingaretti: “Se non ci fosse stata l’Unione sovietica non sarebbero state possibili le lotte dei partiti democratici e di sinistra». Non entro nel merito di un’osservazione che non condivido. Ma possibile che questo sia anche il giudizio di Mattarella, di Gentiloni, di Renzi? E se la storia li divide, anzi li oppone, possibile che la politica li unisca? Quanto durerà il Pd? Da questa domanda discende la possibilità o meno di tornare a un sistema identitario in linea con quello europeo. Quando le ragioni della storia e dell’identità verranno dissepolte rilanciando cosi anche il senso di un nobile e colto approccio alla politica, allora un partito come il Pd non avrá senso alcuno.
Senso storico e anche politico non ha chi si professa una cosa in Europa e un’altra in Italia, chi, in contrasto con l’una e con l’altra, riscopre i personaggi del passato comunista e democristiano come simboli e precursori di un presente socialista. In questa palese e insopportabile contraddizione c’é la negazione della nostra stessa esistenza. Questo per la verità preoccupa più noi, resistenti e semiclandestini, che il paese, se non riusciamo a dimostrare la stretta dipendenza tra questa contraddizione e la debolezza della sinistra italiana. Ci siamo. E allora diciamo subito che la rinascita di una forza socialista italiana, con una storia socialista, discende soprattutto da condizioni che in minima parte dipendono da noi, da quel minimum che si chiama Psi e men che meno da quel pulviscolo socialista disperso e un po’ frustrato che trasforma i desideri in strategia. Direi che bisogna che si creino le condizioni oggettive più di quelle soggettive. Non basta dire una cosa perché quella si realizzi. Anzi, del mondo delle parole son piene le tombe della politica.
Certo una sinistra che non sia anche popolare non é socialista. Oggi il Pd prende voti nei centri storici, il vecchio Psi, anche in età craxiana, i voti li conquistava nelle periferie e nei comuni della provincia. Ho conosciuto bene i socialisti di base degli anni ottanta. Erano anticomunisti ma profondamente popolari, lavoratori, pensionati, studenti. E’ evidente che, nel momento in cui si apre la grande questione della disuguaglianza, in un mondo globalizzato e dove la finanza fa la parte del terzo pesante incomodo, una grande battaglia per l’equità s’impone. Quando Martelli parlava dell’ugualitarismo ingiusto in una sinistra che non comprendeva che non far pagare ai ricchi significava attribuire al popolo il costo dei servizi sosteneva una tesi di buon senso. Oggi possiamo non far pagare l’Imu o la Tasi sulla prima casa a chi é in condizione di pagarla e poi non elevare le pensioni minime?
Insisto. Dobbiamo ancora considerare la sanità gratuita anche per Berlusconi e Agnelli? E’ giusto se il suo costo si scarichi poi su chi non è in condizione di arrivare alla fine del mese? Ancora. E’ stato giusto concedere 80 euro per il ceto medio e non per coloro, disoccupati e studenti, che non hanno nemmeno i soldi per mantenersi? Lascio perdere la polemica sull’articolo 18 che ben che vada é solo simbolica, ma ritengo che sancire per legge il salario minimo sia equo e inaccettabile mi pare la posizione del sindacato che vuole lasciarla alla libera contrattazione. Che contratti il salario massimo, ma che ci sia un minimo per legge non é nell’interesse dei lavoratori? Una sinistra socialista é fondata sul mondo del lavoro e oggi direi sul mondo del bisogno perché i disoccupati sono in Italia una massa troppo consistente soprattutto tra i giovani. Vi aggiungo che la cornice di tutto deve essere la crescita (oggi la Ue la stima allo 0,1 per il 2019 con un debito che cresce soprattutto nel 2020, stimato al 135% e una disoccupazione che sale dal 10 attuale all’11%). Oltre a guardare alla politica del Psoe non sarebbe male guardare anche alla crescita della Spagna, la più alta dei paesi europei e chiederci con quali provvedimenti un paese che era messo peggio di noi ha raggiunto questi risultati e se non ci sia un nesso tra la ritrovata fiducia nel Psoe e la migliorata situazione del paese.
E concludo con una proposta di percorso politico. Dopo le elezioni europee valutiamo se insistere su una proposta di contaminazione riformista o se tornare a una strategia identitaria. Valutiamo quel che succederà nel Pd e dintorni, quale spazio sarà lasciato da una Forza Italia post berlusconiana. Valutiamo se ci sarà il tempo di progettare o se non saremo chiamati subito, come credo, alle urne. E pensiamo che un soggetto moderno del socialismo europeo oggi non nascerà se sarà affidato a vecchi slogan, a vecchi gruppi dirigenti, a vecchi programmi. L’idea dello scavalco a sinistra ha generato gia troppi fallimenti e il presente impone sempre più di percorrere la strada del socialismo liberale, fondato su un nuovo rapporto tra pubblico e provato e non sull’impossibile supremazia del pubblico. E impone di affrontare temi quali il declino demografico, un nuovo assetto della democrazia nell’era tecnologica, nuove leggi e vincoli nell’economia, una nuova sensibilità ecologica. Il tutto in una chiara e convinta cornice europea dove anche i partiti italiani dovranno omologarsi. Magari, cosi facendo, si risolverà d’incanto anche la nostra anomalia.
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