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Di Maio e Prampolini

20 Maggio 2019 1.003 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Leggo sulla Gazzetta che il vice premier Di Maio sollecita le cooperative a tornare ai valori di Camillo Prampolini. Prendo atto che il capo dei Cinque stelle si ricorda, nella sua visita reggiana, del vecchio leader socialista, purtroppo assai spesso dimenticato in casa sua al punto che il Centro Camillo Prampolini, presieduto da Antonio Bernardi, non ha neppure una sede. E con piacere prendo atto che lo stesso Di Maio dice di conoscere quali siano i princìpi citati. Mi permetto di ricordargliene alcuni.

Prampolini, col primo esperimento cooperativo reggiano, la Società cooperativa di Contardo Vinsani, riteneva che la cooperazione, oltre che a rispondere al problema immediato della povertà, fosse uno strumento per cambiare la società capitalistica del suo tempo, senza arrivare a lotte cruente e a dittature del proletariato che anzi ebbe modo di contestare aspramente durante gli anni dell’infatuazione bolscevica. Ma sempre, anche nella struttura cooperativa, Prampolini esaltava la democrazia, il controllo dei soci, il pluralismo e contestava le monocrazie (a cominciare da quella dello stesso Vinsani). In questo senso la cultura democratica del suo cooperativismo si sposava con la cultura democratica dello stato. Che difendeva e anzi esaltava anche nel culto delle parole, fatte di rispetto e di tolleranza anche verso gli avversari politici.

Non sarebbe mai venuto in mente a Prampolini di usare un linguaggio a mo’ di vaffa, di ipotizzare un parlamento estratto a sorte, di lordare gli ex parlamentari come reprobi, meritevoli di finire in un eremo. Lo sottolineo perché il valore assoluto della democrazia mi pare proprio l’opposto di quello praticato dai Cinque stelle, dove un ritorno al primitivo, come la concezione del partito alla stregua di una tribù, con capo assoluto, assemblea degli aderenti (attraverso continui referendum su Internet), il ricorso a nuovi riti, quello del balcone ad esempio, per festeggiare i trofei, si unisce una smania di futuro assai preoccupante, con il mito dell’uomo assistito e non del lavoro (L’inno dei lavoratori fu scritto da Filippo Turati) che produce dignità. Ad ogni modo, e fuori da ogni polemica rissosa e da assurdi campanilismi ed egoismi ideologici, sarei lieto che Di Maio accettasse di discutere con me, in una sua prossima venuta a Reggio Emilia, il messaggio e l’opera di Camillo Prampolini.

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