Conte, il Mundial e il governo
Certo che paragonare il prossimo governo coi Cinque stelle alla vittoria del Mundial (anche allora ci fu il silenzio stampa e le dichiarazioni vennero affidate al semi-muto Dino Zoff) appare azzardato e fantasioso, cari dirigenti del Pd, perché quello storico trionfo calcistico infiammò l’Italia intera, mentre, ben che vada, il prossimo governo meriterà una benevola posizione di attesa. Ma anche perché, qualora il governo giallorosso non dovesse prendere piede, si tratterebbe di una sconfitta, anzi di una debacle, stile Russia 2018. Anche il propagandato twit di Castagnetti, mio caro amico personale, che per accettare un Conte bis si rifaceva a Berlinguer del 1976 quando il leader comunista avrebbe preferito un governo Moro e dovette sorbirsi il governo Andreotti, mi pare fuori luogo. Il Pci avrebbe votato qualsiasi governo gli avesse permesso il rilascio di un passaporto di legittimazione democratica. Non mi pare questo il problema del Pd.
Quando qualche compagno o amico mi chiede come finirà, io rispondo che trent’anni fa potevo fare previsioni in base alla politica, ma oggi no. Oggi la discriminante mi appare l’interesse di partito o di gruppo. Prendiamo il presidente Conte. Direbbe qualsiasi cosa (già ha fatto quella dura reprimenda a Salvini, poi ha chiuso la porta in faccia a una riedizione di governo gialloverde, infine si é detto disposto a cambiare la sostanza di un decreto sicurezza emanato dal suo governo). Non mi stupirei se tra poco ricordasse un nonno partigiano e un avo amico di Antonio Gramsci. Non c’è dubbio che suo interesse sia quello di restare dove la sorte, a lui favorevole, lo ha improvvisamente depositato. Poi ci sono i Cinque stelle che pur di non andare al voto sarebbero disponibili, come Berlinguer, anche ad appoggiare un nuovo Andreotti.
E c’é il Pd, diviso. E dire diviso è un eufemismo. Il Pd é per sua natura diviso e stavolta, qualsiasi sia l’esito della trattativa, si dividerà in due. Se Zingaretti butterà per aria il tavolo insistendo sulla pregiudiziale Conte, o sul no a Di Maio ministro e opporrà qualche ragionevole dubbio alla riforma costituzionale dei Cinque stelle, Renzi é molto probabile che lo accuserà, riprendendo la parola dopo il silenzio stampa stile Mundial, di aver voluto rompere e si farà il suo partito coi (molti) parlamentari pronti a seguirlo. Se la trattativa andrà a buon fine sarà Calenda a salutare la compagnia e a formare un suo movimento di opposizione. Dico ancora: se Zingaretti, dopo aver seguito l’indicazione di Renzi, relativa a un nuovo governo coi Cinque stelle, dovesse anche accettare la presidenza Conte, come Renzi gli aveva consigliato, uscirebbe a pezzi e completamente delegittimato come leader del Pd.
Restiamo, in fondo alla fila, noi. Quando dico noi, dovremmo dire lui, cioè l’unico senatore socialista del Parlamento eletto in Italia, e cioè Riccardo Nencini. Uno è poco per contare qualcosa. Serve altro. Dunque mi pare giusto coordinare la posizione da assumere con gli altri parlamentari di Più Europa e con quelli in movimento, penso all’ex socialista Speranza, a coloro che sono parte del Gruppo misto e di quello delle autonomie del Senato, se il governo dovesse prendere piede. Senza il Gruppo misto e quello delle autonomie il nuovo governo non avrebbe la maggioranza a palazzo Madama. Se si facesse politica costoro dovrebbero riunirsi insieme e dettare le loro condizioni. Ma la politica è defunta, e il gioco di squadra alla Bearzot 1982 é solo nella testa di qualche sprovveduto.
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