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Ilva, che fine…

13 Novembre 2019 783 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Sembrava il mostro dalle sette teste. Origine di ogni genere di malattia. I Cinque stelle ne pretendevano la chiusura e la riconversione. Grillo parlò di una nuova Disneyland. Oggi, che siamo vicini a un esito drammatico, non c’é nessuno che non sia preoccupato, anzi terrorizzato dall’idea di una chiusura del complesso industriale, dopo il recesso di Arcelor Mittal, la società franco-indiana che l’aveva acquisita, anche grazie a un grande piano di bonifica ambientale, in una gara regolare superando, per migliori condizioni proposte, l’altra cordata composta dall’imprenditore siderurgico Giovanni Arvedi e da Cassa depositi e prestiti. Nessun segnale di ravvedimento da parte del nuovo proprietario, fino alla controversa questione, del ritiro del cosiddetto scudo penale.

Cosa sia questo scudo è presto detto. L’azienda chiede, giustamente, di non essere perseguita per reati che dipendono dalle gestioni precedenti. Ha in un certo senso ragione il ministro Patuanelli a sostenere che si tratta di una sorta di tautologia. Nessuno può essere perseguito secondo il codice penale per reati compiuti da altri. E però, allora, non si capisce questo ormai lungo e pericoloso tira e molla sull’argomento. Se Patuanelli avesse ragione non si riesce a capire il motivo per il quale queste garanzie siano state introdotte nel 2015 dal ministro Calenda prima dell’entrata in campo di Arcelor Mittal, per individuare personalità d’alto profilo in grado di svolgere il ruolo di commissario. E non si afferra il motivo per il quale lle stesse condizioni la società franco-indiana abbia preteso al momento di formalizzare la sua proposta d’acquisto.

E d’altro lato non si riesce a comprendere perché i Cinque stelle, già col governo giallo verde, pretesero, nel giugno di quest’anno, di limitarne la scadenza al 6 settembre 2019, suscitando le prime reazioni di Arcelor Mittal, che minacciò di chiudere. Né si coglie il significato della revoca dello scudo penale prima reintrodotto nel decreto crescita e poi stralciato, dopo l’emendamento di Barbara Lezzi, e infine votato, con la fiducia, anche dal Pd , ma non dal nostro Riccardo Nencini. Insomma evidentemente si tratta di questione, da qualsiasi parte la si guardi, di assoluta rilevanza. Adesso qualcuno ipotizza che il problema reale sia un altro e sia originato dalla stretta di mercato nel settore dell’auto, unita alla qualità di un acciaio italiano che sarebbe di serie B. Dunque Arcelor Mittal avrebbe solo approfittato dell’ennesimo scivolone sullo scudo penale per abbandonare il campo. A maggior ragione si rivela irresponsabile questo atteggiamento su un argomento che offre ad un’azienda il pretesto per uscire da un vincolo di contratto. Mi dicono che Barbara Lezzi, molto arrabbiata per non essere stata confermata ministro, l’abbia giurata ai suoi e abbia iniziato un’irresponsabile guerra sulla pelle di 10mila lavoratori. Questo atteggiamento nei confronti della più grande azienda siderurgica italiana é lo specchio della cultura industriale dei Cinque stelle. Che Dio, ma ci sta pensando l’elettorato, ce ne liberi al più presto.

Aggiungo due considerazioni finali. Il giudizio che all’estero si sono fatti sulla nostra giustizia deve essere davvero negativo, se un’azienda arriva a ritenere discriminante una garanzia scritta di non poter essere indagata per reati mai commessi. E infine. Ma chi mai verrà ad investire in Italia dopo questo assurda e masochistica pochade? Chi mai si fiderà di questo governo e delle garanzie scritte che sono state date? E come potrà procedere oggi l’industria italiana in Italia e nel mondo? Dovranno, tutti, chiedere il permesso a Barbara Lezzi prima di investire? Che sciagura…

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