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Il non giudizio del governo

7 Gennaio 2020 442 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

I ministro degli Esteri Di Maio ha incontrato il delegato europeo per la politica estera Josep Borrell concentrando le sue attenzioni sulla grave situazione in Libia. Notizia delle ultime ore é la conquista di Sirte da parte dell’esercito di Haftar e la discesa in campo di migliaia di soldati turchi in appoggio al governo di Tunisi del riconosciuto presidente Serraj. La situazione in Libia diventa ogni giorno più complessa e tragica. La Russia potrebbe da un momento all’altro scendere in campo a sostegno del suo alleato Haftar col quale anche la Francia ha intessuto un rapporto privilegiato. In mezzo l’Italia che sta con tutti e con nessuno e che pagherà il conflitto libico con gli sbarchi che rischiano di salpare dalle sue coste sempre più incontrollate, ma destinati a non poter che essere accolti se coinvolgerà chi fugge dalla guerra.

Quello che continua a stupire é la candida ammissione del nostro ministro degli Esteri di non potere o volere giudicare il clamoroso gesto di Trump di uccidere con un drone il generale iraniano Soleimani assieme ad altre nove persone e per di più in territorio iracheno. Cosa che ha suscitato la clamorosa richiesta, votata a maggioranza dal parlamento iracheno, di un immediato ritiro del contingente americano. Sul Corriere si precisa che Di Maio “non dà giudizi sull’operazione di Donald Trump”, dichiarando semplicemente che “ogni azione che destabilizza é un problema”. Può sempre sostenere che non si riferiva a quella di Trump se interpellato dagli americani oppure che si riferiva proprio a quella se interpellato dai russi, che l’azione invece hanno apertamente criticata. Un monumento all’ambiguità.

Intanto in Iran i funerali di Soleimani hanno segnato la partecipazione di milioni di connazionali, con bandiere e grida di vendetta, mentre il presidente americano ha messo in guardia il governo iraniano perché ad ogni azione seguirà una “reazione sproporzionata”. Anche il linguaggio viene usato per seminare paura. Una reazione sproporzionata? Vengono alla mente tragici precedenti. Ma Trump parla anche di distruzione di luoghi di cultura. Che la cultura non sia disciplina particolarmente apprezzata da Trump é noto, ma che egli non si ispiri al celebre riconoscimento di Roma come città aperta e da non distruggere vista la sua ricchezza monumentale, dopo le bombe lanciate su San Lorenzo nel luglio del 1943, é piuttosto discutibile.

Intanto una conseguenza pare che si sia involontariamente determinata. E cioè una nuova unione in chiave anti americana di sunniti e sciiti. Vuoi vedere che il drone di Trump ha avuto l’effetto di risolvere una secolare controversia, a causa dell’interpretazione sul ruolo di uno zio, che ha seminato odi e tanto sangue? Anche la lotta all’Isis sunnita da parte delle forze sciite pare venuta meno e così quell’impegno sul nucleare che Obama aveva sottoscritto e che Trump ha stracciato. Il ruolo dell’Europa in questo contesto é al momento impercettibile. Oltre ad auspici, a tentativi di mediazioni (vedasi ancora il caso di Di Maio prima a Tripoli con Sarraj e poi a Bengasi con Haftar) generalmente fallite, a divisioni per interessi economici dei singoli paesi, l’Europa é la vera latitante in questa nuova fase del medio-oriente. L’Europa é la spettatrice muta, come l’Italia, di fronte ad un evento che é destinato a coinvolgerla inevitabilmente. Una contraddizione difficilmente sanabile.

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