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Sanremo 1 “Il festival dei rimpianti”

7 Febbraio 2020 478 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

L’Italia dei rimpianti non può che apprezzare un Festival di Sanremo dedicato al passato. Alle canzoni che ne hanno segnato la storia e ai suoi protagonisti. Si apre, che originali, con Tiziano Ferro che canta (maluccio) Volare. Poi Albano e Romina che propongono i loro vecchi successi e ancora Ferro che intona, ma forse sarebbe meglio dire stona, “Almeno tu nell’universo”, una canzone che si può cantare solo al femminile per quel verso che precede la frase del titolo e con esso si congiunge in rima: “Tu che sei diverso”. Solo un pubblico che non sa cos’é una nota calante e una crescente può entusiasmarsi per la commozione, vera o studiata, di un cantante di sicuro successo, ma che stavolta certo non ha incantato al di là della sua sempre commossa partecipazione. E anche Emma, presentata nel cast dei Migliori anni, di Muccino, assieme al grande Favino e ad altri attori, fa rivivere i fasti di un trascorso però più recente, esibendosi in un ensemble di suoi pezzi sanremesi. Se poi sommiamo a questa manifestazione di rimpianto l’imminente serata tutta dedicata alle migliori canzoni del festival il quadro si completa fedelmente. Il secondo filo conduttore del Festival é l’inconsapevole adesione di quasi tutti i protagonisti al buddismo. Non c’é direttore d’orchestra, non c’é cantante, non c’é presentatore, il bravo Amadeus, che non sarà Wolfango Mozart, ma che tiene alla meglio il palcoscenico, o presentatrice, le avvenenti Diletta Leotta e Rula Jeabral, che non salutino come il Dalai Lama, a mani unite in mezzo al corpo. Una moda, un opportuno riconoscimento a una filosofia, non una religione, particolarmente seguita anche in Occidente, un semplice gesto di pace? Chi lo sa…La terza pars costruens del festival é la lotta contro la violenza alle donne. Molto accattivante Rula in quel doppio binario di canzoni e di opposte manifestazioni di oscurantismo maschilista. La giornalista palestinese e oggi americana, risulta convincente quando affronta temi sociali, un po’ meno quando presenta canzoni. Spigliata e sorridente la Diletta, che ammette candidamente: “Se non fossi bella non sarei qui”. Poi racconta e commuove la nonna in platea. La donna chiamata perché bella? La stessa cosa potrebbe valere per Rula? E questo non é contraddittorio con il tema clou della prima serata? Un quarto elemento fondativo del festival é il folto pluralismo dei compositori: mediamente cinque, a volte sei e perfino sette, per canzone. E ascoltandole cosi, quasi tutte senza un vero tessuto melodico, ho calcolato che ogni autore non ha composto più di una nota. Poi Fiorello con le sue esilaranti incursioni. Sempre al massimo. E una trovata, annunciata con l’enfasi del primo uomo sulla luna da Amadeus-Tito Stagno, quella della prima uscita dal missile del festival nello spazio della piazza circostante, tra fedeli che attendono l’evento di Amadeus e di Emma al fresco del suolo ligure. Le canzoni? Umhh. Quattro ragazzi che si sfidano a due, a mò delle miss, con un concorrente che elimina quell’altro. C’é anche un Gassman, mani in tasca e aria trasognata. Po i grandi per modo di dire. Un Achille Lauro che più che una nave sembrava un tappeto, che poi si sfila per apparire quasi nudo, coperto solo da una calzamaglia. Ora va bene esaltare anche la diversità sessuale, ma per un etero lo spettacolo é stato a dir poco nauseante. Tenere vestite Diletta e Jula e svestire Achille Lauro é un attentato degno di Abbu Abbas. C’é anche Rita Pavone, a proposito di revival. Ma che razza di canzone ha cantato? “Niente”. E Irene Grandi, un po’ appesantita che intona in simil rock e sembra Loredana Berté. Poi Diodato, l’unico che non ha bisogno di una messe di collaboratori musicali e che intona, bene, una gradevole melodia. Canta da Dio… dato. Le Vibrazioni inventano un nuovo modo di cantare. Oltre al solista c’é anche il mimo per i sordomuti, ma soprattutto a dirigere c’é la rassicurante sagoma di un mito del salotto sanremese, quel Peppe Vesicchio accolto come un trionfatore da una guerra punica. La canzone non é male, non é bene e si classifica al primo posto. Non ho capito una parola del rap di Anastasio. Anche lui come un po’ tutti é aggressivo, rabbioso, incazzoso anche quando parla d’amore. Evidentemente lui e gli altri stanno meglio senza. Che dire di un Morgan che certo é musicista vero, ma che si presenta col rossetto (anche questo un sintomo del tempo) e con un certo Bugo si agita tra microfoni e fili e tastiere e non ne esce nulla. Giusta la maglia nera. Poi un tenore che non canta da tenore, non maschera in voce, ma semplicemente ingola. Nulla a che vedere col primo Boccelli. Dimenticavo il barbuto Marco Masini, idolo delle adolescenti degli anni novanta, e già vincitore a Sanremo nel 2004. Misto di deja vu e tentativi malriusciti. Fuori concorso la bella canzone di Antonio Maggio con Gessica Notaro, la ex miss sfregiata con l’acido dal fidanzato. Ben studiata e calibrata con quel titolo “La faccia e il cuore” che dice tutto. C’é anche certa Elodie, che tra fremiti e rulli di tamburo, intona una complessa melodia che cambia cinque o sei volte tema musicale e sfocia in un grido “Andromeda”. Mi chiedo se costei conoscesse la storia di questa mitologica figura greca. Una ragazza che per colpe presunte della madre venne legata a una roccia in attesa del mostro e che venne poi liberata da Perseo, suo futuro sposo. E già celebrata da Luttazzi col suo “Legata ad uno scoglio”. Non capisco quali meriti vengano riconosciuti a questa canzone da elevarla al secondo gradino. Quando scocca l’una dopo mezzanotte c’é un ultimo giovane concorrente. Ma ormai un occhio é spento e l’altro é stanco di guardare. Il meglio? La nonna della Diletta, una delle poche che avranno esultato alla vittoria della Pizzi con “Grazie dei fior” in quel primo festival del 1951. E che si sarà chiesta: “Ma dove sono capitata?”.

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