Discesa? E poi?
I dati di ieri sera segnano un rallentamento della crescita dei contagiati, circa mille in meno, e dei morti, un centinaio in meno. Si tratta di numeri sempre drammatici, sia ben chiaro, ma se la decrescita sarà confermata stasera potrebbe essersi completata la scalata verso il famoso picco. C’é da augurarsi che continui a sbagliare le sue previsioni il professor Galli, del Sacco di Milano, quello che aveva pronosticato come improbabile la diffusione del coronavirus in Italia e che, misurandosi ancora con le sue azzardate profezie, ha recentemente annunciato che il picco si sarebbe raggiunto solo ad aprile inoltrato. Intanto si discute sull’ennesimo decreto del governo, il terzo, speriamo quello definitivo, attorno ai divieti. Questo ci pare il più razionale. Abbiamo sempre pensato che più che le passeggiate o le corse in solitario fossero da evitare tutti gli assembramenti, dunque i luoghi di lavoro, fermando l’attività produttiva non essenziale all’alimentazione e alla sanità, e magari anche gli autobus, i tram e i treni. Il fatto che il presidente del Consiglio per la terza volta abbia annunciato il decreto, in forma inusuale, prima di vararlo, non cambia di un rigo l’essenzialità dello stesso. L’opposizione chiede di tenere aperto il Parlamento e non ha torto, anche se in questo momento la legiferazione è obbligatoriamente destinata ai provvedimenti da varare sui temi della guerra contro il virus. Ma il Parlamento ha il dovere morale di restare aperto e questo dovere lo deve assumere a fronte dei tanti medici, infermieri, parasanitari, farmacisti, commessi di supermercati che non mollano per assicurarci assistenza e sopravvivenza. Il Parlamento deve costituire per gli italiani un appiglio sicuro col lavoro quotidiano dei rappresentanti del popolo che lottano più degli altri per combattere l’emergenza. Siamo certo in una situazione ancora pesante. Conte ha ragione quando ricorda che la fase che stiamo attraversando é la più dura dal dopoguerra. In tutti i sensi, lo é per le migliaia di morti che un nemico invisibile sta seminando in tutto il paese e in particolare nel Nord, e lo é per lo stato di prostrazione in cui versa l’economia italiana. Quando dovremo ricostruire, allora sì, sarà il momento di varare un governo di unità nazionale, come avvenne nel secondo dopoguerra. Allora l’elemento unificante era l’antifascismo oggi sarà il rilancio dopo la grande paura. Non tutti avranno le stesse ricette, non tutti daranno gli stessi giudizi sul recente passato. Ma neppure nel 1945 i partiti erano allineati dagli stessi principi, anzi erano più che mai divisi per non dire contrapposti sui temi della repubblica e della monarchia, sul comunismo e sulla democrazia, sulla laicità o sullo stato confessionale, sul liberismo o sul protezionismo. Eppure insieme decisero di compiere un tratto di strada che sfociò nell’elaborazione di una Carta costituzionale di ottima fattura. Oggi noi dovremo assumere decisioni per rilanciare il tessuto connettivo del Paese. Nulla sarà più come prima, probabilmente. Nemmeno le nostre paure. Dovremo convivere, da un lato, con l’idea che il mondo globale porta con se anche la globalizzazione delle malattie, dovremo finalmente organizzare meglio la spesa sanitaria pubblica, attrezzarla a nuove epidemie, finanziare come in Italia purtroppo si é scarsamente portati a fare, la ricerca che ci salverà dai nuovi mali. E dovremo pensare su quali comparti produttivi puntare per la rinascita, visto che probabilmente non riusciremo a salvarli tutti. Ovviamente questa azione dovrà essere intrapresa con un occhio, anzi due, all’Europa, visto che i suoi stati membri sono uniti oggi da una turbolenza. E hanno il dovere di procedere insieme, se non altro perché ognuno di loro deve affrontare identico dramma. Paradossalmente l’Europa oggi l’ha unita il virus. Per far questo é evidente che serva il contributo di tutti. Ha ragione Franceschini, quando sostiene che abbiamo italiani al fronte e dobbiamo sostenerli da italiani. E aggiungo da italiani che devono insieme contribuire alla soluzione dei problemi e poi lavorare insieme alla ricostruzione dell’Italia.
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