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Dal governo dei magistrati al governo degli scienziati?

12 Luglio 2020 408 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Non può che destare scalpore e forte preoccupazione l’intenzione del governatore della Puglia Emiliano di candidare nelle sue liste il virologo Lopalco. Niente da fare. I partiti, o quel che resta di loro, e i loro leader, per così dire, continuano a subire la sindrome Di Pietro. E’ infatti dal 1992 che la politica si é ritirata in soffitta aprendo le porte di casa all’invasione di altri poteri. Nel biennio giudiziario prevalse il culto per le toghe, così come negli anni settanta nel Pci si cercavano candidature di cattolici e anche di qualche tonaca, ma almeno in virtù di un disegno politico che era quello sfornato da Enrico Berlinguer dopo il colpo di stato in Cile dell’11 settembre del 1973, e cioè il compromesso storico. I cattolici che si candidavano nel Pci erano uno strumento per avviare una politica. Nessuno poteva supporre che fosse il partito subordinato a chi candidava. Invece negli anni novanta la politica, nella sua stragrande maggioranza, si rese complice di un disegno altrui, facendo l’errore di accarezzare il pelo del lupo per poi esserne azzannata a morte. Facciamo un esempio. Perché, nel 1993, il decreto Conso e quello Biondi, nel 1994, non vennero approvati? Perché non avevano il sostegno dei magistrati, e in particolare del Pool Mani pulite di Milano che, dal 1992 al 1994, ma in realtà anche dopo, costituiva il vero governo politico del Paese. Perché nessuna maggioranza di governo, nemmeno quelle berlusconiane, poterono approvare una vera riforma della giustizia di stampo europeo, con la separazione delle carriere dei magistrati e con un Consiglio superiore dove non prevalessero le correnti politiche delle toghe coi loro inevitabili giochi di potere? Perché perfino Berlusconi, non estraneo all’appoggio a Mani Pulite col suo Tg4, fu tentato di proporre a Di Pietro di far parte del suo governo? Quale ruolo, anticostituzionale, perché debordante rispetto alle sue funzioni, ha giocato il potere giudiziario in Italia? Sarebbe interessante che l’opportuna istituzione di una commissione d’inchiesta iniziasse le sue indagini molto più indietro della fase delle registrazioni di Palamara e del processo a Berlusconi, che un componente del collegio di Cassazione ha definito addirittura quello gestito da “un plotone d’esecuzione”. E fornisse qualche risposta sui vecchi processi, compresi quelli a Bettino Craxi, fondati sul teorema, che non si applicò a nessun altro, del “non poteva non sapere”. La rivoluzione giudiziaria ha partorito il populismo, l’antipolitica, ha rivoltato un sistema di partiti che durava da cinquant’anni e che aveva bisogno d’essere rinnovato nei suoi metodi e nelle sue classi dirigenti che non s’erano accorte, dopo la fine del comunismo, che era al tramonto un intero ciclo politico, soprattutto in Italia, dove risiedeva il più grande partito comunista dell’intero occidente. E che bisognava magari partire proprio da quella legge elettorale proporzionale corretta che oggi si rivendica e che allora avrebbe forse salvato e rinnovato i partiti identitari e non partorito quelli odierni. Il populismo s’affacciò in primis proprio con Berlusconi che era in realtà figlio del vecchio sistema politico e che su talune impostazioni (pensiamo alla condanna dei politici professionisti) anticipò, nella prima versione, i temi lanciati dai Cinque stelle. Poi, dopo qualche tentativo di governo, sempre travagliato e osteggiato al suo interno, come nelle migliori tradizioni della sinistra italiana, dell’Ulivo e dell’Unione di Prodi, ecco riapparire in forme nuove e pericolose il nuovo populismo pentastellato e addirittura un governo gialloverde, poi divenuto, dopo i giorni del Papeete, grazie alla capriola del presidente avvocato Conte, un governo giallorosso. Come se fosse la stessa cosa, e in affetti la é. Di riforma della giustizia non si parla, si fa la guerra al Mes e soprattutto si strumentalizzano gli effetti della pandemia per riaffermare la logica dell’emergenza ad libitum. Il potere passa così nelle mani degli scienziati e in particolare dei virologi, oggi i più gettonati nei talk show, i soli che possono decidere le modalità della nostra esistenza allargando o restringendo i confini della nostra libertà. Ancora una volta è la sinistra italiana, come già avvenne negli anni novanta, a rifugiarsi in soffitta. Il governo non usa gli scienziati per prendere le decisioni politiche. Delega queste ultime agli scienziati, peraltro anch’essi divisi tra catastrofisti e ottimisti, in una sorta di bipolarismo all’italiana. Sapevo che prima o poi sarebbe iniziata la caccia (elettorale) al virologo. Se devono comandare loro tanto vale dar loro il potere. Esagero? Forse. Ma è nello stile italiano cavalcare le mode. E oggi un Burioni o un Locatelli, non a caso divenuto un nuovo personaggio del teatrino di Crozza, valgono più di un vecchio funzionario di partito. Se mai esistesse ancora…

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