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Achille e Bettino

20 Luglio 2020 406 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il neo giornalista, e già segretario Pd, vice presidente del Consiglio e sindaco di Roma, Walter Veltroni ha dunque intervistato sul Corriere Achille Occhetto, già segretario del Pci e del Pds, e già nume tutelare dell’intervistatore. Tanto che nelle domande, al contrario di quelle rivolte agli altri illustri intervistati, ma tutti di altri partiti, compresi i nostri Formica e Martelli, c’erano in qualche misura già le risposte dell’intervistato. Occhetto da tempo, dopo che gli fu scippato il partito dai due rinnovatori, D’Alema e appunto Veltroni, si é distaccato da quella che in origine era la sua creatura, non mancando qualche volta di deragliare, come nel caso della lista alle elezioni europee del 2004 presentata in combinazione con Di Pietro. E facendosi soffiare tutto intero il rimborso elettorale da quel “mano lesta” del magistrato simbolo della rivoluzione giudiziaria (ne ho diretta testimonianza perché, dal 2006, ero membro dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati). Che dire del merito dell’intervista? Devo ammettere che non é priva di accenni politicamente autocritici, alcuni scontati, come quelli relativi all’errore del Pci nel 1956, quando Togliatti sbagliò la parte da appoggiare e in Ungheria scelse gli invasori e non gli invasi. Occhetto aggiunge una considerazione relativa alla conseguenza che avrebbe determinato nella sinistra italiana una scelta analoga del Pci e dell’autonomismo socialista. L’unità socialista, a giudizio di Occhetto, poteva essere più matura allora che non nell’89. E questo perché seguirono trenta e più anni di polemiche e di divisioni tra i due partiti. Vi segnalo una considerazione. Se il Pci avesse sposato la posizione che sull’aggressione sovietica all’Ungheria assunse il segretario della Cgil Di Vittorio, che fu critico con la scelta di Kruscev, forse nel Pci si sarebbe prodotto uno strappo ben più lacerante di quello lamentato da Cossutta dopo la condanna di Berlinguer del colpo di stato in Polonia. Come avrebbero reagito i dirigenti, o almeno una parte cospicua di loro, che ancora credevano, a poco più di dieci anni dalla fine della guerra, agli affetti propulsivi della rivoluzione d’ottobre? Certo se il Pci, cioè Togliatti, avesse assunto le stesse posizioni di Nenni e quelle che tredici anni dopo, sia pur timidamente, assunse Longo, la storia sarebbe cambiata e forse una grande forza socialista sarebbe nata anche in Italia e non col solo apporto di Giolitti e di qualche pur significativo intellettuale italiano. Sull’altro snodo storico e cioè il 1989, Occhetto continua a ritenersi a pieno titolo il padre di una svolta storica e il solo che capì gli effetti italiani della caduta del muro. Il fondatore del Pds rivela, poi, qualche particolare dei suoi rapporto con Craxi. Sbagliando a mio giudizio, qualche anno e qualche nome. A proposito dell’unità socialista egli ricorda di aver incoraggiato Craxi a rompere con la Dc e a rischiare politicamente all’opposizione per migliorare, attraverso un’azione comune, i rapporti tra le basi dei due partiti, quella comunista e quello socialista e di aver trovato Craxi tutt’altro che ostile personalmente. Ma indisponibile perché, gli avrebbe risposto il leader socialista, “se vado all’opposizione i miei mi fanno fuori in mezz’ora”. Ovvio che personalmente, non avendo partecipato all’incontro, non trovi motivi per contestare quella memoria occhettiana. Ma Occhetto deve collocarla dopo l’89 e non prima perché l’unità socialista fu la proposta politica che il Psi rivolse ai post comunisti e non al Pci. Poi si potrà certamente sostenere che Craxi, al contrario di Occhetto, non comprese gli effetti devastanti della fine del comunismo in Italia. Ma se Occhetto ne conosceva le conseguenze di ordine giudiziario questo non va certamente a suo merito. D’altronde a quella riunione della direzione del Psi dell’aprile 1992, e io c’ero, quando Martelli, e pareva averlo concordato con Occhetto, riuscì a convincere Craxi a formulare una proposta di unità politica e programmatica col Pds, il segretario del Pds rispose definendo “desolante” la  proposta socialista e facendo infuriare soprattutto chi all’unità tra Psi e Pds credeva. Che dire poi della sconsolata frase di Gerardo Chiaromonte dopo una riunione del Pds del novembre 1991 sul rifiuto politico dell’unità socialista in nome di una via giudiziaria che Craxi non riusciva ancora a decifrare e che viene ricordata nel libro di Fabio Martini? Occhetto non dice nulla sui rapporti del suo partito col potere giudiziario nel biennio 1992-1994, i due anni che cambiarono il corso della storia italiana permettendo a chi aveva avuto torto di avere ragione. Sostiene soltanto che la corruzione c’era e che i giudici travalicarono il loro ruolo. Troppo poco. Perché Craxi fu il solo segretario a cui fu applicato un teorema, quello del “non poteva non sapere”, perché Occhetto non venne mai inquisito nemmeno a fronte del miliardo di Gardini che venne consegnato a Botteghe oscure, in modo inaspettatamente altrettanto oscuro? E come mai il Pci-Pds, il partito più pesante e più finanziato non solo con pratiche lecite, non venne mai neppure sfiorato, almeno nei suoi vertici, neppure alla luce dell’evidenza del caso Greganti, che venne esaltato nelle feste de L’Unità anche se “si teneva i soldi per sé”? E potrei continuare. Certo sono domande che l’intervistatore non pone all’intervistato. E ci mancherebbe, visti i rapporti tra i due. Resta il modo rispettoso col quale entrambi parlano del vecchio Psi e del suo leader Bettino Craxi. Sincerità o qualche complesso di colpa?

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