Ciao Giusy
Ho conosciuto Giusy La Ganga ai tempi della Fgsi. Erano i primi anni settanta e in un Comitato centrale mi impressionò il suo intervento che citava Sciascia. Era innanzitutto una persona colta. E tale in fondo eravamo un po’ tutti, da Roberto Villetti, il segretario, che ci ha lasciato recentemente, a Giulio Di Donato, a Luciano Fraschetti, a Valdo Spini. Una generazione appassionata di politica, che la storia e anche la filosofia, e così la letteratura, l’aveva studiata nei Licei e all’Università. Ma soprattutto sui libri, dei quali eravamo colmi con le stanzette generalmente disordinate e accarezzate anche dalle musiche di De André, Guccini, Battisti, e perché no, di Brel e Brassens. Poi me lo trovai segretario del Psi di Torino più o meno nel periodo in cui io mi ritrovai segretario a Reggio Emilia. Vivemmo insieme gli anni di Craxi. Con quell’amore per l’autonomia e il protagonismo socialista che ci vide più o meno tutti cestinare le nostre lauree e sacrificare le nostre professioni per diventare il primo apparato autonomista della storia del Psi. Un’organizzazione che puntava su finanziamenti non più dipendenti dal Pci e dalle sue prevalenti strutture. E che assumeva un ruolo centrale nel panorama politico nazionale. Il Psi iniziò a progredire elettoralmente dopo la sconfitta umiliante del 1976. E il nuovo corso cominciava a dare i primi frutti, con le elezioni europee del 1979, regionali del 1980 e politiche del 1983. Poi i grandi balzi del 1985 e soprattutto del 1987, seminate dalla presidenza Craxi. Così nel 1987 ci ritrovammo alla Camera, insieme. Giusy era il responsabile degli Enti locali della Direzione. Nel 1992 fu chiamato a presiedere il Gruppo parlamentare. Poi la lunga agonia del partito. Le persecuzioni. Le denigrazioni che non risparmiarono neanche lui. E le nostre peregrinazioni. La lunga attesa di una impossibile resurrezione del Psi ci ha visti entrambi in organizzazioni socialiste. Da ultimo la sua adesione al Pd ci aveva allontanato politicamente. Ma mai personalmente. Tanto che spesso ci si scambiava opinioni. Telefonicamente. Giusy in fondo rimaneva un socialista senza partito. E fino alla fine, quando il corpo non rispondeva più, ma la testa invece si, continuava a parlare di politica. Ciao compagno e amico. Prima o poi ci rivedremo in tanti. O almeno lo spero.
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