Tra Biden e Trump, la sinistra e il dpcm
Possiamo rivolgerci delle domande sulla tenuta di Trump, in quella che ormai appare una sua sconfitta? Possiamo, ad esempio, chiederci se quel che é avvenuto da anni in Italia, e cioè un consenso più elevato alla sinistra nei centri urbani, e dunque tra la popolazione più garantita, e delle destre nelle periferie disagiate, sia avvenuto anche in America,col presidente repubblicano che fa il pieno negli stati agrari e meno sviluppati del Sud e del Centro, sfondando anche tra i latinos, mentre Biden si aggiudica gli stati più progrediti? Possiamo domandarci se in un mondo che va alla rovescia anche la politica si sia capovolta e dopo la crisi delle ideologie, e alle prese come siamo con un consenso che si guadagna sulle personalità e le proposte, la sinistra non sappia più parlare a quei ceti che storicamente si era impegnata a rappresentare? Il radicalismo chic alla Capalbio d’estate, i circoli e le tavole rotonde che tuttora sopravvivono, abbagliate da politologi con la erre moscia, le illusioni sull’estetica della società multietnica, i salotti degli intellettuali a caviale e champagne si sono rivelati, agli occhi dei ceti più popolari, rappresentazioni privilegiate e fuori dai loro autentici bisogni. E se perfino un esponente della cultura più radicale come Saviano dichiara che i democratici, e non solo quelli americani, parlano di un paese che non c’é, come la famosa isola di Edoardo Bennato, forse sarebbe il caso di riflettere anche da noi sui successi (tutti i sondaggi politici li danno tuttora vincenti) del tandem Salvini-Meloni in Italia. E’evidente che la sinistra riformista per battere la destra non possa sposare le sue idee, ma certo non può né demonizzarle, né ignorarne la forte presa sulla pubblica opinione. Penso in particolare al tema delle periferie urbane e delle partite Iva. Si tratta, la prima, di una zona costituita da popolazioni storicamente marginalizzate e oggi alle prese con l’ulteriore problematica di insediamenti migratori spesso pericolosi e quasi mai integrati, mentre la seconda é costituita da ceti sociali, oggi soprattutto alle prese come siamo coi provvedimenti dovuti al Covid, sempre più penalizzati. La prima attende dalla sinistra, tra le altre, una risposta su un tema troppo spesso al centro di speculazioni, errori di previsione, corruttele. Basterebbe dire, e soprattutto fare, cose chiare. Ad esempio decidere che gli insediamenti migratori non possano essere ubicati nelle periferie delle città, ma seminati a piccoli gruppi sul territorio. Da ricordare il bel film di Albanese “Come un gatto in tangenziale”, per rendersi conto della differenza che esiste tra esprimere idee solidaristiche restando nel lusso delle comodità e invece vivere da vicino le difficoltà, quando non i pericoli, di una convivenza con culture diverse, quando non con gruppi che per vivere hanno deciso di delinquere e spesso di spacciare. Una sinistra che vuol parlare di sicurezza, previene e, se non ha previsto, reprime. E’ evidente che solo una solenne prospettiva di una gestione diversa del tema migratorio, approntando un’articolata rete di residenze limitate sul territorio e capace di integrare i migranti con la popolazione storica, può permettere alla sinistra di riprendere la parola. Le partite Iva, qualcuno le ha definite la nuova classe operaia perché si tratta del ceto oggi meno garantito, sta ulteriormente allargando il fossato che le separano dai ceti più o meno protetti: in particolare i lavoratori delle imprese pubbliche e, in parte, anche di quelle private a tempo indeterminato. Le prime hanno pochi ammortizzatori, e meno male che qualcuno glieli ha forniti grazie al jobs act. Oggi sono ancora loro, i gestori di molti servizi che devono fermarsi, e i loro dipendenti, anch’essi spesso senza adeguata copertura, a pagare il peso della crisi. E’ vero che il governo ha previsto ristorni. Basteranno? Già prima del Covid questi ceti erano stati penalizzati dalla crisi economica. Adesso costoro avvertono addirittura vicina la loro fine. E a proposito del quarto dpcm di Conte vien da chiedersi perché quelli della Calabria debbano pagare di più di quelli della Campania con un indice di contagi inferiore. Forse per la carenza di una adeguata rete ospedaliera? Ma in Campania sarebbe all’altezza? E perché, per restare ai colori, il Piemonte sia dichiarata zona rossa e il Veneto no, perché la Puglia sia dichiarata arancione e il Lazio giallo. Posso solo chiedermi se non si sia trattato di colorare le zone col bilancino della politica. Tra le zone rosse troviamo tre regioni governate dal centro-destra, più la Valle d’Aosta, tra quelle in arancione, la zona media, quella più dorotea, la Puglia e la Sicilia, e qui il rapporto é di uno a uno. Tra le gialle tutto il resto, con la salvezza della Campania e del Veneto, ancora uno a uno. Rispetto ad ogni scelta il governo avrebbe dovuto fornire una spiegazione inoppugnabile. Diciamo così scientifica. L’impressione, dopo la levata di scudi delle regioni, é che si sia arrivati ad un accomodamento politico. Vorremmo tanto che non sia stato così.
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