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E adesso?

15 Gennaio 2021 318 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Dunque alea iacta est. Renzi ha annunciato le dimissioni della delegazione di Italia viva dal governo Conte. E Conte, dopo un incontro con Mattarella, ha escluso la ricerca di sostituti, chiamati responsabili. A questo punto la crisi é aperta e non potendo più contare su una maggioranza numerica in Parlamento le dimissioni del presidente del Consiglio appaiono scontate. Francamente non vedo altra uscita dalla crisi che non quella sancita dalla Costituzione. Tra i tanti, e ormai diffusi, rimpianti della prima Repubblica, ve n’é uno, alquanto attuale, sui comportamenti dei presidenti del Consiglio dei governi di coalizione. Penso a quello tenuto dal presidente Ciriaco De Mita, a seguito del Congresso di Milano del Psi del 1989 che lo pose, forse fin troppo platealmente, sotto accusa. Dopo alcuni incontri con Craxi che gli aveva manifestato, adducendo a ragione la formazione del polo laico alle europee, e altre stravaganze, che non poteva più contare sulla fiducia dell’alleato, De Mita andò al Quirinale, chez Cossiga, per dare le dimissioni. La governabilità fu salva, il segretario della Dc Arnaldo Forlani designò il successore di De Mita e Andreotti potè costituire il suo governo col Psi e gli alleati precedenti. Certo, esistevano i partiti e non le persone. A Palazzo Chigi non c’era un avvocato pugliese senza partito e senza seggio in Parlamento, ma uno dei più prestigiosi leader del maggiore partito italiano. Che si comportò da uomo di stato. Come peraltro si comportò Letta a seguito della assai discutibile successione praticata dallo stesso Renzi. Prima viene la compattezza di una coalizione e poi l’interesse personale. A nulla serve ricordare, come avviene oggi su qualche giornale, il precedente delle dimissioni dei ministri della sinistra democristiana a seguito dell’approvazione della legge Mammì nel 1990. In quel caso non si trattava della dissociazione di un partito, ma di quella di una corrente, per di più minoritaria, di un partito. E questa corrente non si era dimessa chiedendo un altro presidente del Consiglio, ma in dissenso con un provvedimento governativo. Per questo non ci fu crisi di governo e i dimissionari furono sostituiti. Tuttora la via maestra é quella che porta alle dimissioni e la testardaggine del presidente del Consiglio é, forse, anche, dettata da inesperienza delle regole della vita politica e parlamentare. Cosi come, alquanto impropria, risulta la sua frase, “mai più al governo coi renziani”, che pare abbia mandato su tutte le furie lo stesso Pd. Il combinato disposto tra il no ai responsabili e il no al governo con Italia viva se quest’ultimo apre la crisi, mettono Conte su un filo. Ma ha fatto tutto lui. Visto che al Quirinale deve recarsi e visto che Italia viva ë ancora determinante in questa maggioranza, Conte difficilmente potrà essere il leader a meno che le sue parole, come spesso capita oggi, non restino scritte sull’acqua e vengano subito contraddette. Vedremo come evolverà la crisi. Resto anch’io convinto, come scrivono all’unisono Maraio e Nencini oggi, che le elezioni anticipate siano l’ultimo dei rimedi. Bisognerebbe piuttosto anticipare i vaccini.

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