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La pandemia democratica

15 Gennaio 2021 370 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo
Il costituzionalista Michele Ainis rileva, in un’intervista apparsa quest’oggi sul Quotidiano nazionale, che l’emergenza non può essere infinita. Un’emergenza senza tempo significa scardinare uno stato di diritto. Secondo il codice della protezione civile i poteri speciali per motivi sanitari, cioè dettati, come in questo caso, dalla epidemia, non possono essere protratti per più di un anno. Se la legge non cambia dunque le metodologie di governare dovrebbero rientrare nella normalità costituzionale entro luglio. Altrimenti si governa extra lege. Nell’emergenza si dovrebbe far uso del decreto legge, un modo di legiferare che appartiene al governo e i cui atti sono immediatamente esecutivi ma devono, entro sessanta giorni, essere approvati dal Parlamento. Si é invece fatto uso dei dpcm, provvedimenti legislativi di carattere amministrativo innalzati a veri e propri provvedimenti politici, che regolano la libertà di movimento dei cittadini, che hanno il potere di essere immediatamente esecutivi esautorando completamente i poteri di Camera e Senato.

Attenzione. Richiamo le regole della democrazia perché alla luce di quel che é accaduto negli Usa dove l’attacco al Parlamento ë stato sferrato da un presidente che non ha mai amato la democrazia liberale, non riconosce l’esito delle elezioni, definisce eroi bande di malcapitati che sferrano il più violento degli attacchi alla più antica delle democrazie, deve farci riflettere. Si tratta di un fatto isolato? Cosa dicono i trumpisti di casa nostra cui pare che il popolo italiano voglia affidare le sorti del futuro governo? Salvini balbetta, la Meloni addirittura si richiama all’ex presidente americano nelle vesti di pacere e non di istigatore. E in che condizioni di salute si trova la democrazia liberale, l’unica che abbiamo conosciuto e sperimentato, oggi nel mondo? Si potrebbe sostenere, a ragione, la tesi che le democrazie di stampo occidentali si sono dilatate e parecchio rispetto agli anni sessanta. L’America latina era un continente caserma, popolato da regimi militari e l’Europa segnava col muro di Berlino una divisione tra un Ovest non pienamente democratico (Spagna, Portogallo e Grecia erano dittature militari) e un Est solo popolato di dittature comuniste altrettanto spietate. Oggi tutto questo non esiste più e sistemi più o meno democratici sono presenti ovunque, tranne in Cina. E qui si deve però aprire una parentesi che é poi la premessa di nuove possibili conseguenze mondiali. Si é sempre pensato che il pluralismo economico fosse inconciliabile con un modello comunista a partito unico. L’anomalia, l’eresia cinese, ha provato il contrario. In termini di velocità nelle decisioni, di compattezza politica, di conseguente capacità di generare sviluppo economico quel sistema illiberale ha prodotto il miracolo, senza “gli intralci” della democrazia, di un boom economico senza precedenti. Oggi la Cina é il paese col tasso di sviluppo più alto, nonostante il Covid, e con la prospettiva di superare anche il livello di vita americano, mentre le sue banche possiedono ormai parti decisive di debito degli stati occidentali e in particolare degli Usa. La Cina é vicina, si scandiva negli slogan del ‘68. Lo é anche oggi, ma per tutt’altri motivi, non certo rivoluzionari, ma finanziari. Dalla democrazia liberale si é distaccata ormai, col trumpismo, parte significativa della popolazione americana, che pretende sicurezza, anche self service, armi, stop all’emigrazione, meno stato e più benessere. Questa concezione, alla luce del virus pandemico, si sta diffondendo. Un sondaggio choc del Corriere della Sera sulla democrazia in Italia mostra come oltre il 56% degli intervistati da Ipsos si dichiari deluso dalla democrazia, e fin qui potevamo aspettarcelo, ma sorprendono le motivazioni di cotanta delusione. Gli intervistati individuano infatti i peggiori difetti della democrazia nella lentezza delle decisioni, nel costo economico delle istituzioni e nella difficoltà di individuare un unico responsabile delle scelte politiche. Dunque la maggioranza degli italiani non sarebbe contraria a un cambio di sistema. Non sto parlando dell’Ungheria di Orban che proclama la fine della democrazia liberale, né della Russia di Putin, che la democrazia liberale l’ha più volte calpestata con un autoritarismo che ha sconfinato in sospettati crimini. Stiamo parlando dell’Italia che alla democrazia é arrivata dopo una sanguinosa guerra civile a corollario di una sconfitta bellica. Chi non avverte i pericoli per la democrazia, in un’epoca post ideologica (le ideologie erano caserme per le spinte autoritarie), in una fase di globalizzazione che incide sul livello di vita e che produce pandemie senza più confini, non ha compreso il senso dei nostri tempi. Anche la democrazia può, forse deve, essere riformata. Come le regole della farraginosa elezione del presidente americano, occorre anche in Italia un cambiamento istituzionale per avvicinare di più parlamento e governo al popolo. Ad esempio un sistema presidenziale che consenta al popolo di individuare, come in America e In Francia, una responsabilità personale. Ma qui il discorso ci porterebbe lontano. Una soddisfazione avere anticipato, fu una delle più brillanti anticipazioni del periodo craxiano del Psi, questa esigenza. Ma oggi, avviluppandoci a Conte e ai dpcm, non avvertiamo i cigolii di un sistema che, come la nostra salute, si é fatto a rischio. Non abbiamo il tempo, o forse la voglia, di pensare.

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