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125 anni e non li dimostra (i tre attentati all’Avanti, terza puntata)

30 Dicembre 2021 440 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

L’Avanti fu devastato tre volte. La prima risale all’aprile del 1919. Fu un clamoroso precedente. Nel 1919 non erano ancora organizzati i fascisti. Si era tenuto da pochi giorni il convegno dei fasci di combattimento a piazza San Sepolcro. E si era lanciato al cospetto di pochi intimi un programma repubblicano e rivoluzionario da parte dell’ex direttore dell’Avanti e di un gruppo di ex sindacalisti rivoluzionari che avevano sposato la causa dell’interventismo. Le squadre fasciste non si erano ancora formate e il nuovo movimento veniva guardato con diffidenza dai ceti che poi l’appoggeranno e con indifferenza dai più. L’attacco all’Avanti, il primo, appare nient’affatto programmato. L’episodio milanese ha un precedente romano. Pochi giorni prima una manifestazione socialista era stata avversata da una contromanifestazione nazionalista inneggiante la patria, il re e l’esercito. Coloro che erano scesi in pizza erano poi stati ricevuti dal ministro della guerra Caviglia che li aveva ringraziati. A Milano i nazionalisti, composti prevalentemente da gruppi di arditi, capitanati da Ferruccio Vecchi, da futuristi con Marinetti in prima linea, da un gruppo di giovani allievi ufficiali e da qualche sansepolcrista, avevano deciso di scendere in piazza per contrapporsi allo sciopero che i socialisti avevano decretato, con comizio programmato all’Arena da parte di Claudio Treves e Luigi Repossi, a seguito dell’uccisione, da parte della polizia, dell’operaio Giovanni Gregotti, durante scontri precedenti. I nazionalisti, che potevano contare anche sull’appoggio di un gruppo di allievi ufficiali del Politecnico armati, si scontrarono con gli avversari, furono sparati diversi colpi e sul selciato rimasero in tre: la diciannovenne socialista Teresa Galli, ll 18enne Pietro Bogni e il 16enne Giuseppe Lucioni. Avendo avuto il sopravvento i nazionalisti si diressero verso la sede dell’Avanti, situata in via San Damiano, trovandola circondata da agenti. Ma dopo l’esplosione di un colpo partito da una finestra dell’edificio dove aveva sede il quotidiano socialista, che colpì a morte il militare Martino Sperone, gli agenti lasciarono fare e gli squadristi entrarono armi in pugno nelle sale del giornale, distruggendo i macchinari e incendiando i mobili. I socialisti che lavoravano al loro quotidiano furono costretti a fuggire da una porta secondaria per salvarsi la vita. Il secondo attacco all’Avanti avvenne a Roma, alla sede locale del quotidiano, il 22 luglio del 1920. Riprendiamo gli avvenimenti dal libro di Ugo Intini. I nazionalisti, per protestare contro uno sciopero dei tranvieri, organizzano una grande manifestazione che riempie le vie del centro. Da via Nazionale il corteo raggiunge piazza Venezia e qui cominciano i primi scontri con gli operai che arrivano dalla vicina casa del popolo. Si scatena la caccia al tranviere e, naturalmente, al socialista. Si assedia la sede della direzione del partito, in via del Seminario, poi scatta, programmata, l’azione principale: l’assalto all’Avanti! La complicità delle forze dell’ordine è così evidente che persino il Questore dichiarerà: “gli agenti hanno tenuto un contegno per lo meno equivoco”. Un poliziotto fa da “palo” all’angolo di via della Pilotta, dove la sede dell’Avanti! è apparentemente protetta da uno squadrone di cavalleria. In fondo si staglia una massa e crede per errore che si tratti di un gruppo di operai giunti dalla casa del popolo in difesa del loro giornale. Ordina perciò ai carabinieri a cavallo di caricare per disperderli. Ma quando costoro si accorgono che quella massa prima indistinguibile era invece la squadra dei fascisti, i militari si fermano, retrocedono e li fanno passare. Alla testa degli assalitori, c’è un capitano degli arditi in divisa. “Le porte della tipografia” – si legge nella cronaca dell’Avanti! – “furono presto sfondate per mezzo di grossi macigni. E mentre un gruppo entrava per la porta, un ufficiale degli arditi, valoroso!, col pugnale in mano entrava per la finestra e muoveva incontro ad alcune donne, le sole che erano in tipografia, addette alla spedizione. Le disgraziate, alla vista di quell’energumeno, fuggirono per i tetti e si rifugiarono discinte in preda al terrore in uno dei locali vicini delle Poste. Nella tipografia tutto fu messo a soqquadro. Le macchine in piano furono guastate seriamente. Anche due linotype furono rese quasi inutili. I caratteri delle cassette sono tutti perduti”. Mentre avviene la devastazione, l’ufficiale che comanda i carabinieri a cavallo resta immobile: “non ho ordini”. Un operaio corre allora al comando di Divisione. Riesce trafelato a parlare con il comandante del picchetto. “Non ci posso fare niente” – ripete – “non abbiamo ordini”.» La terza aggressione contro l’Avanti avviene nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1921. Qui la matrice assolutamente ed esclusivamente fascista é evidente. Il 1921 é un anno di guerra civile. I fascisti sono ormai organizzati militarmente in quasi tutte le province italiane. I socialisti sono reduci da una scissione, quella comunista di due mesi prima, che li aveva indeboliti. Ma soprattutto sono alle prese con un alternativa di posizioni, al governo o rivoluzione, che ne mina la forza di movimento. Come scrisse più tardi Pietro Nenni la scissione di Livorno aveva segnato un paradosso: “La discordia dei concordi nella concordia dei discordi”.  Si ricomporranno i discordi perché Serrati e i suoi terzinternazionalisti si staccheranno dal Psi aderendo all’ordine di Mosca di aderire al Pdci. E si ricomporranno più avanti anche i concordi, con Nenni che, liberatosi del massimalismo della Balabanoff, maggioritaria al congresso di Grenoble, e per questo divenuta proprietaria della testata dell’Avanti, si riunificherà col partito socialista di Turati e Saragat nel 1930. Ma torniamo a quella notte del terzo assalto. Poche ore prima si era verificata la terribile carneficina del cinema Diana, causata da un attentato anarchico o pseudo tale. Cosa c’entrino costoro, terroristi della peggior specie, coi socialisti non é dato sapere. Ma ogni pretesto é buono per dare addosso ai socialisti e al loro giornale. La squadra fascista sgancia bombe sull’edificio ancora in costruzione di via Ludovico da Settala 22. E in questa occasione, spinto da un generoso impulso di solidarietà, accorre in soccorso del quotidiano socialista Pietro Nenni, ancora repubblicano. Poco dopo Nenni scriverà il suo primo articolo sul giornale ancora diretto da Serrati che pareva anche una spietata autocritica: “La bancarotta dell’interventismo di sinistra”. Sarà poi corrispondente da Parigi a da lì decise di prendere la tessera del Psi.  Nel giro di due anni ne divenne leader mettendo in minoranza, al congresso di Roma del 1923, la tendenza fusionista del direttore che l’aveva assunto e che lascerà il partito e prendendogli il posto.

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