Ferita aperta
E lo dico personalmente perché, da autonomista, riformista e craxiano delle origini, mi é capitato di toccare con mano diverse evidenti falle sul piano del comportamento non del solo Psi ma dell’intero sistema dei partiti. Dopo le elezioni del 1992, ma era tardi, avevo bene in mente il nuovo muro, non di Berlino, che ci si parava dinnanzi, frutto anche delle nostre timidezze o reticenze ad affrontare la nuova fase politica aperta dalla fine del comunismo. Tra i nostri errori quello di votare senza capirne le conseguenze quella legge sulla depenalizzazione del finanziamento illecito ai partiti fino al 1989 (anno magico, in cui tutto cambiava, che si portava seco, tra l’altro, la cancellazione dei rubli sovietici al Pci). Ma quello che poi é accaduto non può essere dimenticato. Un uomo solo ha pagato i reati commessi da tutti. E quell’uomo é stato costretto a scegliere tra una morte in un paese straniero e un ergastolo (a più di vent’anni si sommavano le sue condanne avvenute a tempo di record) per finanziamento illecito. Che poi per quest’uomo si siano addirittura proposti funerali di stato dal governo D’Alema la dice tutta sull’ipocrisia italiana. Mi si dice che non si può continuare a parlare del passato. Ma sanare questa ferita é compito del presente. Che il Parlamento della Repubblica non abbia mai voluto costituire una commissione parlamentare di indagine su Tangentopoli, il fenomeno che più di ogni altro ha determinato una svolta negli assetti politici, e anche economici, dell’Italia dal dopoguerra, la dice lunga sull’alto grado di viltà e di paura della classe dirigente dell’epoca. Una subalternità colpevole a una magistratura politicizzata come poi si é autorevolmente confermata. Attendiamo ancora che un’autocritica politica e giudiziaria si concreti dopo ammissioni (sconcertante quella di Borrelli per il quale “Si deve chiedere scusa agli italiani perché non valeva la pena buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale”) e diversi studi, libri, film realizzati negli ultimi anni. Per questo l’affermazione di Carlo Calenda, che addirittura pare stupirsi della rivalutazione della cosiddetta Prima repubblica, sembra andare contro corrente e contro la storia e non solo contro i socialisti. Dispiace perché Calenda si é definito un liberalsocialista e noi continuiamo a sperare che lo sia davvero.
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