Morire per il Donbass?
Bastava ad Hitler per legittimare l’occupazione della Ruhr francese, del territorio dei Sudeti e l’annessione al Reich della stessa Austria. Putin non é Hitler. Per questo nessuno si pone il problema se sia lecito, come per Danzica nel 1939, morire per il Donbass. Ma la logica dell’appartenenza al ceppo russo della parte, maggioritaria o meno, delle repubbliche di Lugansk e Donetsk non può bastare per giustificare un solenne riconoscimento di indipendenza come quello emesso nella giornata di ieri. Non é ancora chiaro, mentre i carri armati russi hanno ormai varcato il confine e Biden parla già di aggressione, quale sarà la reazione di Kiev. Sullo sfondo, da un lato, lo sfondamento ad Est della Nato che si vorrebbe, non per ora, come assicurano i leaders occidentali, ma per sempre, come pretende Putin, bloccare alle porte occidentali dell’Ucraina, dall’altro il non recondito desiderio di Mosca di ricostruire un suo impero, almeno parziale, con la subalterna Bielorussia e appunto l’Ucraina, sue prime pedine. Già la cessione della Crimea era parsa una forzatura del diritto internazionale di difendere l’integrità di una nazione, l’occupazione del Donbass la regione più ricca di giacimenti dell’Ucraina, la terza nazione del mondo come produttrice di petrolio, fa poi trasparire come il disegno dell’indipendenza mascheri anche chiari obiettivi economici. Tutto evidente allora, tutto chiaro per scegliere da che parte stare? Non proprio. Nei confronti dell’occupazione russa della Crimea la comunità occidentale non ha mosso un dito. E sulla guerra in Cecenia, macchiata da centinaia di migliaia di morti, é stata a guardare. E cosa ha fatto durante lo smembramento della ex Jugoslavia? Si é mossa solo per affermare il diritto di indipendenza del Kossovo, una regione a metà tra Serbia e Albania. E il governo D’Alema per questo ha fatto bombardare Belgrado partecipando ad un’azione Nato, dopo essersi opposto, il suo partito, il Pds, alla guerra dell’Onu all’Iraq che aveva invaso il Kuwait. Come si vede il filo del diritto internazionale può essere tirato da più parti. Quello che si dovrebbe fare in questo frangente non é quindi la declamazione di più o meno sacri principi. Ma operare in una duplice direzione. Da un lato riprendere la via diplomatica perché una guerra non solo provoca sangue e morte, conseguenze tragiche e lacerazioni nei rapporti internazionali e anche il formarsi di pericolosi nuovi fronti politici (l’asse Russia-Cina che l’ideologia aveva frantumato oggi si é inverata come polo economico e politico di forte peso), ma segna un punto di non ritorno. Dopo il fallimento, anzi l’umiliazione subita in Afghanistan sono certo che l’America si terrà ben distante dal partecipare in prima persona ad un’iniziativa bellica per di più non contro gruppi di terroristi ma contro la seconda più forte potenza militare del mondo.. Dall’altro occorre rilanciare un ruolo dell’Europa che se esiste dovrebbe mostrarlo ora (si sono mossi Macron e Scholz, un po’ in ritardo Draghi a nome delle singole nazioni) anche perché le ripercussioni economiche saranno pesanti soprattutto in alcuni paesi europei, non in Francia che, anche grazie al nucleare, arriva all’autosufficienza energetica, ma in Italia che dipende dal gas russo per il 44% ed é autonoma solo al 4-5% sì e anche in Germania costretta a ricorrere al carbone mentre l’Europa fissa la decarbonizzazione e in procinto di edificare un nuovo grande gasdotto, il North Stream due proveniente dalla Russia che renderebbe più vicini anche politicamente i due paesi. Per questo le eventuali sanzioni anderebbero concordate. Una cosa é la loro ricaduta in America, altra cosa in Europa. E anche in Europa una cosa é la loro ricaduta in Francia e un’altra in Italia. Seguiamo gli avvenimenti ad horas. E speriamo di non dover commentare il peggio, mentre le bollette italiane crescono a dismisura e rendono sempre più critica la situazione dei cittadini e delle imprese. Non rischieranno la vita cone gli ucraini ma la povertà certo si.
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