Le parole e la guerra
Basta leggere quel che sostiene Putin. Il presidente russo nega identità statuale all’Ucraina. Per lui e il suo governo l’Ucraina é russa. Ha scomodato anche il Russ di Kiev, cioè il medioevo. per dimostrarlo. Al massimo può accettare una finta autonomia. Cioè un governo fantoccio simile a quello della Bielorussia. Secondo osservazione. Anche Kennedy nel 1962 minacciò una guerra qualora Krusciov avesse installato i missili a Cuba. Sbagliato. Kennedy non invase Cuba, anche se ci fu un goffo tentativo alla baia dei porci l’anno prima, e poi oggi non hanno alcun valore i missili alle frontiere in presenza di ordigni nucleari intercontinentali che possono colpire un grattacielo di New Iork da Mosca in pochissimo tempo e viceversa. Edward Luttwak lo ha precisato autorevolmente anche ieri sera in tivù. Terza osservazione. La Russia si sente accerchiata. Ma da chi? Chi sta minacciando la sua integrità, chi l’ha mai aggredita? Nessuno. Di più: se molte repubbliche ex sovietiche, a cominciare da quelle baltiche e per finire alla stessa Ucraina, hanno chiesto, e le prime ottenuto, di far parte dell’Alleanza atlantica una ragione ci sarà. E l’unica ragione possibile é che semmai esse si sentono in pericolo per la loro indipendenza nazionale mai riconosciuta dallo zar di Mosca. E aggiungo su questo punto quel che ha giustamente sottolineato il ministro degli Esteri italiano Di Maio, e cioè che tutte le nazioni hanno il sacrosanto diritto di scegliere i loro alleati. Comprese quelle ex sovietiche. Tanto più oggi visto che solo l’adesione alla Nato permette a Lettonia, Lituania ed Estonia, già assegnate all’Urss dal patto Ribbentrop-Molotov del 1939, di sentirsi relativamente al sicuro dalle pretese di Putin. Poi c’é la solita filosofia benaltrista che salta sempre fuori quando c’é da dar ragione agli americani, che di torti certo ne hanno avuti non pochi. Ma per dare solidarietà al popolo e alla nazione ucraina abbiamo proprio ancora bisogno di ricordare il Vietnam e lo sbandamento in Afghanistan? Perché non si è mai fatto la cosa all’opposto. Di ricordare, durante gli anni del Continente caserma anche i loro meriti. Ad esempio di averci liberato dal nazifascismo? Io, penso, e nessuno me lo toglie dalla testa, che ancora talune timidezze che intravedo a sinistra dipendano da questo malcelato pregiudizio ideologico che traspariva chiaramente dalle parole di Bertinotti, oggi in radio. Un gioco di equilibri e di equazioni francamente un po’ stomachevoli. Le timidezze putiniane di destra sono invece dovute a una certa ammirazione per l’uomo forte. Vedi Urban, il più restio anche in Europa alle sanzioni. E per il modello di stato, una democrazia illiberale, che accomuna i due. Oltre che dalle scommesse berlusconiane andate a finir male. Anche la terminologia va cambiata. Quando si va in piazza per la pace mi viene subito un dubbio. Si vuole la pace tra l’aggressore e l’aggredito? L’unica pace possibile é la pace imposta dal più forte. Dunque la pace dopo la capitolazione. Questa pace non mi interessa. Bisognerebbe cambiare termine. E rivendicare la pace dopo il ritiro delle truppe dell’invasore, la pace come trionfo del diritto all’autodeterminazione dei popoli. E quando si parla di pace, peggio ancora, non si intenda la nostra pace. Che significa trasformare la nostra impotenza, o peggio ancora, il nostro egoismo, in virtù. Se non possiamo far nulla, i nostri nonni fecero molto e partirono volontari per la Spagna e prima ancora per la Francia e la Grecia, non vantiamocene. Almeno stiamo zitti
Leave your response!