Dedicato alle donne ucraine
Le ho viste, quelle che stanno con noi da un pezzo, e che assistono anziani e puliscono case, fare lavori umili per mantenere figli, le ho viste cogli occhi che lacrimavano infiammati di ideali nobili. E le ho viste in tivù le mogli che lasciavano alla frontiere i mariti che tornavano indietro per combattere, orgogliose e senza far chiasso e clamore. Ma le ho viste anche combattere con armi in pugno e cadere coi figli in braccio. E alcune le ho viste disperarsi per la morte di un figlio, piccolo, quasi neonato. Immagini troppo forti e perfino censurate dalle nostre tv. La tragedia di una guerra che loro non avevano voluto e che stanno sopportando con stoicismo e con fierezza le ha rese un po’ padrone delle nostre vite. I missili e le bombe che stanno piovendo loro addosso appartengono a un tempo raccontato dai nostri genitori e che ci parevano favole. Sono lì, loro, a dimostrarci che invece quei racconti sono tornati realtà. Accadeva poco più di due o tre decenni fa nella ex Jugoslavia divisa in repubbliche come l’Urss ma attraversata da conflitti etnici e religiosi. Accadeva vent’anni fa in Iraq e in Afghanistan. Ma lì c’erano guerre che apparivano almeno motivate dalla presenza di despoti che gasavano i loro cittadini e dal dominio di esaltati islamisti che nascondevano il progettista dell’attacco alle due torri di New York. Qui, in Ucraina, c’é un popolo pacifico, un governo democraticamente eletto, e il nazismo é una frottola che racconta la propaganda russa come annota oggi un rabbino in Ucraina che ne loda la tolleranza ed esalta il presidente ebreo. E quel che più tocca l’Occidente e l’Europa é la conseguenza di questa aggressione, le minacce di Putin, come candidamente ammesso dallo storico russo Medvedev, di allargare i confini della Russia a quelli dei tempi di Pietro il grande, di soggiogare quindi anche la Moldavia, e la Georgia e perché no allora le repubbliche baltiche che sono difese dalla Nato. Noi temiamo le conseguenze future mentre loro non temono il presente. Non voglio esagerare, lo so che questi non sono i tempi di Ettore e di Achille che almeno la guerra la facevano coi cavalli e le spade. E neanche quelli di Cadorna e di Diaz che mandavano a morire migliaia e migliaia di ragazzi per conquistare un pugno di terra. Sono i tempi nostri quelli della globalizzazione e della velocizzazione. Sono i tempi di tecnologie sempre più sofisticate e di armamenti micidiali che possono colpire a decine di migliaia di chilometri di distanza. Altro che Cuba 1962 quando i missili facevano paura perché troppo vicini. E ora in questo mondo che sembra impazzito e scherza col fuoco di un nucleare autodistruttivo pensiamo a quelle donne lì che soffrono distanti dalla loro patria e dai loro mariti oppure che rischiano la vita per la loro patria con un fucile, o con un figlio (morto?) in braccio. Non conta nulla ma questo 8 marzo almeno dedichiamolo a loro.
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