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La donna della Provvidenza?

28 Ottobre 2022 303 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Si sta un po’ esagerando, negli interventi alla Camera e al Senato dei deputati e senatori di destra, sulla svolta introdotta dal governo Meloni. Tra lo storico, il sensazionale e l’epica scrittura di una nuova fase abbonda la retorica.. Il fatto che Giorgia della Garbatella sia la prima donna a presiedere un governo italiano dal 1861 non ci piove. E nemmeno che questa forte innovazione sia merito della destra e non della sinistra. Ma era già avvenuto nel Regno Unito con la Tachter e in Germania con la Merkel.Che la sinistra sia più maschilista è possibile anche se in Svezia fino ad oggi e in Finlandia alle donne i socialdemocratici hanno affidato la guida dei rispettivi governi. E così pure vero che Giorgia non sia un prodotto di laboratorio e neanche una dirigente sfornata da circoli elitari, ma una donna del popolo. Vero, tutto vero. Ma fin qui è contorno, finanche di rilievo ma contorno. Come sono propositi,.solo propositi quelli elencati nel suo discorso alla Camera, poi depositato al Senato. L’europeismo sia pur conciliato da dosi forti di nazionalismo, l’atlantismo con la volontà di continuare a sorreggere la resistenza ucraina, la netta rottura con i sistemi antidemocratici compreso il fascismo che ha emanato le leggi “criminali” anti semite, la vocazione di procedere a una riforma dello stato di tipo semipresidenziale alla francese che lo stesso Pd, allora Pds, all’epoca della  Bicamerale presieduta da D”Alema aveva accolto, l’impegno a correggere soltanto in rapporto ai costi il Pnrr, la ferma scelta di riformare il reddito di cittadinanza permettendo solo a chi ne ha bisogno e non è in condizione di lavorare, di poterne usufruire, nonché la decisione di riformare la giustizia mettendo sullo stesso piano accusa e difesa sono buone, anzi ottime intenzioni. Ma restano due grandi problemi per ora irrisolti. La collocazione dell’Italia sul versante europeo non sarà trascurata dai nostri partners. La Meloni ha per anni coltivato un rapporto preferenziale con l’Ungheria di Orban e coi paesi del Patto di Visegrad. Di questo non ha parlato. Ha anzi scelto di incontrare subito Macron. E’ evidente che il governo italiano (Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro il documento che censurava le privazioni di libertà in Ungheria) non potrà spostare il suo asse di equilibrio troppo a Est pena la perdita secca di una tradizionale rete di rapporti coi grandi paesi europei a cominciare da Francia e Germania. Il secondo puntum dolis è attinente la particolare situazione che si configura all’interno della sua maggioranza. Una maggioranza alquanto squilibrata, composta da un partito dotato di una percentuale superiore alla somma di quelle degli altri due. Non si tratta di un teorema pitagorico. Ma quando una coalizione è troppo squilibrata a vantaggio di uno  rischia di non procedere aemonicamente. Soprattutto se si regge su una forza politica  la Lega, che ha perso, dalle Europee del 2018 alle politiche del 25 settembre, tre quarti del proprio elettorato proprio a vantaggio del partito della Meloni. Se Salvini un’ora dopo la nomina era già al tavolo con le autorità militari e civili italiane a parlare di chiusura dei porti agli immigrati, mentre esiste con Musumeci un ministro del mare, ciò non depone a favore della massima coesione. Immagino che la Lega punti alla flat tax ben oltre le partite Iva fino a 100mila euro e che l’autonomia differenziata costituisca un tema molto delicato nel rapporto tra le regioni del Sud e del Nord. Vedremo anche come il governo saprà conciliare tregua fiscale e lotta all’evasione e come potrà frenare l’espansione del debito pubblico a fronte di una previsione di aumento del PIL di solo lo 0,6 per il 2023. La sola cosa che ci sentiamo di dire è che la Meloni non sarà la donna dea Provvidenza. Caricarla troppo di incombenze non sarebbe utile neanche per lei.

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