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L’Italia che sta a casa

14 Febbraio 2023 212 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

I dati che emergono con chiarezza nelle elezioni regionali di Lazio e Lombardia, e che si pongono in netta continuità col dato delle politiche del 25 settembre, sono, da un lato, l’altissima astensione elettorale e dall’altro la forte avanzata della destra. Una riflessione sul primo punto. Già alle elezioni politiche il tasso di partecipazione al voto era stato non solo il più basso rispetto alle precedenti, ma l’Italia, che é sempre stato il Paese in cui si votava di più, é diventato il Paese in cui si vota meno. Il 63,9% dei votanti rispetto agli aventi diritto rappresentano la percentuale più bassa tra quelle conseguite nei grandi Paesi europei. In Germania alle ultime politiche ha votato il 77%, in Francia il 73, nel Regno unito il 67 e in Spagna il 66. Alle regionali della Lombardia ha votato solo il 41% e a quelle del Lazio il 37. Si tratta di un’anomalia italiana, dunque. Non, cone si é sostenuto più volte, di un dato tutto sommato omogeneo con la tendenza di partecipazione al voto in Europa e in Occidente. Sarebbe troppo lungo andare alla ricerca dei motivi di questa disaffezione al voto. Ne indico due plausibili. In Italia si é formato un sistema politico, nel 1994, assolutamente diverso da quello tradizionale, fondato sull’identità storica, e abbastanza simile (con l’eccezione italiana di un grande Partito comunista) al panorama europeo. Il nuovo sistema politico, anti identitario e astorico, ha portato a un ulteriore frammentazione politica e a una crescente disaffezione alla vita dei partiti, con conseguente calo di qualità dei gruppi dirigenti e con un progressivo distacco dei cittadini che ormai si pongono al di sopra degli storici steccati di destra e sinistra votando a caso, sul candidato più attraente, sul partito che più é stato all’opposizione, su quello che ha fatto la proposta più interessante e anche su quello che ha urlato di più. Vogliamo parlare di riforma del sistema politico, non per tornare a quello precedente ma per offrire all’elettorato un quadro di riferimento con connotati europei? Secondo punto. Dal 1994 ad oggi si sono succedute tre leggi elettorali, una prevalentemente maggioritaria, una proporzionale con premio di maggioranza alla prima coalizione, un’altra prevalentemente proporzionale ma con obbligo di coalizione. Alle regionali la legge é ovunque proporzionale, con sbarramenti diversi, elezione diretta del presidente ma senza ballottaggio e con le preferenze. Alle comunali la legge é proporzionale con le preferenze ed elezione diretta dei sindaci, ma a doppio turno. Alle europee la legge é proporzionale con sbarramento al 4% e con le preferenze. Ora ditemi voi se un elettore può comprendere che tipo di stato si intenda costruire attraverso questi meccanismi elettorali diversi e contraddittori. Non serve solo una riforma del sistema politico, serve una riforma per dare omogeneità e coerenza al sistema elettorale (non si capisce perché le preferenze produrrebbero corruzione solo alle politiche e non ale comunali, regionali ed europee). E da ultimo serve una riforma istituzionale e costituzionale. I modelli sono sostanzialmente due: quello presidenziale e semi presidenziale francese e quello tedesco. E’ bene precisare che i due sistemi sono é omogenei e la legge elettorale é coerente con essi: maggioritaria a due turni la francese, proporzionale con sbarramento la tedesca. Non vorrei che in Italia si continuasse a pasticciare con norme e modelli tagliati a metà e favorevoli, ma solo presuntivamente, per chi li propone. Bisogna evitare che il caos attuale mini in profondità le regole della democrazia.
Che dire della vittoria della destra? Che era preventivata sia pure in misura minore. Che neppure un campo largo di centro-sinistra, che andasse dal Terzo polo ai Cinque stelle, avrebbe potuto evitarla, che svolgere il referendum sul segretario del Pd in una fase elettorale non é stata una scelta azzeccata. Dall’altra parte il centro-destra non attenua, se non di poco, lo squilibro esistente tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Squilibrio potenzialmente in grado di divenire dissidio come nel caso dell’ultima dichiarazione filo putiniana di Berlusconi che in altra epoca avrebbe determinato una crisi di governo. Ma i tre partiti si devono essere messi d’accordo che il berlusconese non é l’italiano. Deve essere poi tradotto da Tajani, Ronzulli e Cattaneo. E acquista un significato opposto. Che dire del risultato del Psi? Nulla.

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