Dal concertone al caffè dal balcone
Le due cose che balzano agli occhi del primo maggio sono nell’ordine il grande concerto, o concertone, come si dice in gergo sindacalese, in cui si sono esibite molte ugole nostrane, tranne quella di Pupo, indeciso se recarsi a Mosca per sparlare degli Stati uniti, o a Washington per sparlare di Putin, e dall’altra parte l’invito di Palermo alla Schlein che ha accolto il richiamo di una signora dal balcone a recarsi in casa sua a bere un caffè. Per terza possiamo segnalare la protesta di Landini alla decisione del governo di lavorare il primo maggio. Singolare protesta invero perché non estesa ai cantanti del concertone, come ha fatto notare la Meloni, ma neanche ai giocatori di calcio di serie B, ai ciclisti del giro di Francoforte, ai tennisti del gran premio di Spagna e ai tanti cuochi e gestori di ristoranti, alberghi, pizzerie opportunamente aperti anche durante la festa del lavoro. Mi attendevo critiche più pertinenti da parte del sindacato al decreto del governo. Penso che ai lavoratori interessi ben poco il fatto che i sindacati siano stati consultati in ritardo. A monte di tutto c’é ancora la pretesa della famosa concertazione, che il governo Craxi opportunamente infranse col decreto di San Valentino. Una cosa é la consultazione, un dovere del governo ascoltare le parti sociali, altra cosa la co-decisione. No. Le decisioni spettano ai governi e al Parlamento. Non al sindacato. Le critiche sono arrivate piuttosto velate. Innanzitutto Renzi ha opportunamente osservato che non si tratta, come la Meloni ha dichiarato, della più grande manovra fiscale a vantaggio dei lavoratori. Si tratta di 4 miliardi per la riduzione del cuneo fiscale contro i 10 degli ottanta euro. E altre manovre di 6 e di 5 miliardi sono state adottate precedentemente. Il governo sostiene che la manovra non é a deficit perché si basa sul maggior aumento del Pil rispetto a quello previsto (saremmo oltre l’1%). Dunque il deficit resterebbe invariato al 4%. Magra consolazione, perché in realtà a fronte della crescita del Pil si poteva anche scegliere di ridurre il deficit. Le osservazioni di fondo mi paiono anche queste discutibili. La Schlein, armi in pugno, dichiara che il decreto é per la precarietà e danneggia i poveri, annunciando mobilitazione a fianco del sindacato. Stiamo ai dati. E’ vero che il decreto allunga e normalizza i contratti a tempo determinato ma, a conti fatti, costando questi ultimi alle aziende più di quelli a tempo indeterminato, non penso che le nuove norme inficeranno la tendenza, largamente prevalente nell’ultimo anno, del cospicuo aumento dei contratti più stabili. Quanto ai cambiamenti del Reddito di cittadinanza, che distingue occupabili e non occupabili, mantenendo il reddito per questi ultimi, e legando un modesto sussidio transitorio ai primi a un corso di formazione professionale, non si capisce bene quale sia l’obiezione del Pd che ancora una volta sposa la tesi dei Cinque stelle rispetto all’intangibilità della legge che avrebbe abolito la povertà. L’obiezione più ragionevole potrebbe essere quella relativa alla mancata copertura di quei giovani che, pur frequentando un corso di formazione professionale, non trovassero un’occupazione. Anche se é bene ricordare che in molti settori le aziende cercano e non trovano lavoratori. In generale l’obiezione di fondo al decreto, a mio parere, sta nella pervicace contrarietà alla istituzione anche in Italia, come in larga parte dei paesi europei, del salario minimo, istituto che riscontra da sempre una certa freddezza, se non una manifesta contrarietà, del mondo sindacale perché indebolirebbe il suo potere contrattuale. E’ la stessa obiezione che si rivolgeva ai contratti integrativi e aziendali. Il punto é che, pensando precipuamente al suo ruolo, il sindacato, a braccetto in questo caso col governo, si allontana sempre più dalla tutela dei più autentici interessi dei lavoratori che sono quelli di avere un lavoro non sottopagato e diritti per tutti.
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