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Il giudice di qua e di là dal Tevere

17 Giugno 2023 216 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il discusso ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, su cui si diffondono nel pamphlet a due mani l’ex presidente dell’Anm Palamara e il giornalista Sallusti, é stato protagonista di due incomprensibili archiviazioni delle indagini relative al caso Orlandi. Recentemente il suo predecessore dottor Capaldo, ha dichiarato di aver parlato nel 2012 con due emissari dell’allora Papa Ratzinger, alti prelati che diedero la disponibilità del Vaticano a far ritrovare alla famiglia il corpo della quindicenne Emanuela, in cambio dell’aiuto da parte della magistratura italiana a liberare la Chiesa dall’imbarazzo sorto con la scoperta della tomba del boss della Banda della Magliana, Enrico Renatino De Pedis, nella basilica di Sant’Apollinare. Arriva al posto del reggente Capaldo l’ineffabile Pignatone e che fa? Avoca a sé il procedimento e poco dopo l’archivia. La seconda archiviazione, nel 2015, si riferisce alle dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna del capo della banda della Magliana Enrico De Pedis, ammazzato nel 1990 e il cui corpo venne sepolto, come già riferito, nella chiesa di Sant’Apollinare di Roma, su richiesta di monsignor Vergari e il visto del cardinal Poletti. La Minardi riferì che la Orlandi fu rapita da De Pedis su ordine di ambienti del Vaticano, riconsegnata a loro (parlò esplicitamente di Marcinkus a capo allora dello Ior, la banca vaticana), poi riconsegnata cadavere e sepolta da De Pedis in una discarica. Pignatone archiviò il tutto Nel frattempo, il 2 dicembre 2014, Pignatone coordina un’indagine – sugli intrecci tra criminalità mafiosa e politica nel Comune di Roma – denominata “Mafia Capitale” che porta a 37 arresti tra membri della criminalità capitolina capeggiati da Massimo Carminati, esponenti del centrodestra della giunta Alemanno, esponenti del PD, nonché del consiglio comunale di centro sinistra. Più di 100 gli indagati. Molta enfasi ma la Cassazione ha escluso che Mafia Capitale fosse una organizzazione secondo i criteri previsti dall’articolo 416 bis del Codice Penale. Facendo così crollare il teorema di Pignatone. Dopo questi successi, a seguito dell’andata in pensione per motivi di età nel 2019, ecco la mano del Vaticano. Non aveva archiviato, sorvolato, cestinato su un caso così scottante di una cittadina vaticana rapita e poi probabilmente uccisa? Ecco allora il nuovo incarico. Pochi mesi dopo il pensionamenti Pignatone assurge a un’altra procura, Quella divina dello Stato del vaticano. E’ nominato capo del tribunale di prima istanza della santa sede, niente di meno. Premio meritato. Ma chi era, prima di arrivare a Roma, Giuseppe Pignatone? Figlio di un deputato democristiano e ovviamente laureato in giurisprudenza aveva lavorato per oltre trent’anni a palazzo di giustizia di Palermo come collaboratore stretto di Pietro Gianmanco. La gestione della Procura al tempo di Giammanco fu caratterizzata soprattutto dalle polemiche e da una contrapposizione tra il capo dell’ufficio e Giovanni Falcone. Dei contrasti sulla gestione delle inchieste su mafia e politica lo stesso Falcone ha lasciato traccia nei suoi diari nei quali sosteneva che alcuni spunti di indagine sarebbero stati “frenati” dal capo della Procura del tempo. Le memorie di Falcone innescarono, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, la rivolta di otto sostituti procuratori. Il braccio di ferro provocò l’apertura di un fascicolo davanti al Csm e culminò con la richiesta di trasferimento, poi accolta, di Giammanco alla Cassazione. Al suo posto venne nominato Gian Carlo Caselli che si insediò proprio nel giorno in cui venne catturato Totò Riina. Difficili i rapporti di Giammanco anche con Borsellino il quale aveva confidato alla moglie Agnese di avere appreso casualmente e non da Giammanco, che ne aveva conoscenza, che un pentito aveva rivelato l’arrivo di un carico di esplosivo destinato a un attentato contro il magistrato. Ambiguo, contestato, sconfessato Gianmanco, Pignatone ne venne fuori con un incarico a Reggio,Calabria e poi, grazie al sistema Palamara, suo grande sponsor nel 2012 arrivò a Roma. Nel libro dell’ex capo dell’Anm si sostiene che mentre Palamara riesce a sistemare tutti i suoi fedeli, a cominciare da quel Prestipino che poi succederà a Pignatone nel 2019, si aprì una contesa tra i due proprio sulla successione. Nella famosa cena all’Hotel Champagne Palamara fece il nome di Viola e Pignatone se ne uscì con la notizia della notte in albergo di Palamara con l’amante e di viaggi pagati dall’imprenditore Centofanti. Vendetta trasversale, tradimento della parola data? Un bell’ambiente spartitorio, ricattatorio, criminogeno. Ma Pignatone mica é un fesso. Riesce ad un tempo a far espellere Palamara dalla magistratura, ottenere che il suo aiuto lo sostituisca alla procura di Roma e che il Vaticano lo elevi a supremo giudice non delle anime dei cristiani ma dei loro possibili delitti. Quella della povera Emanuela Orlandi può aspettare. Sono trascorsi solo 40 anni.

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