Le tre canzoni della segretaria
Nella sua relazione, non messa in votazione in Direzione perché si sarebbe verificata una spaccatura, la Schlein ha toccato passaggi decisivi della storia musicale italiana. Le sue citazioni sono state riprese dai testi di canzonette di Nicolò Fabi, di Silvestri e di Diodato. Nulla da eccepire sulla opportunità e neanche sulla attualità dei richiami. Un po’ scontato quella di “Non fate rumore” di diodatesca e sanremese memoria. Più simpatica quello dei 4mila e più motivi di Silvestri. Non comparsi invece i 7mila caffé di Alex Britti per non determinare eccessivo nervosismo in sala. Mi chiedevo se Pietro Nenni nella relazione al congresso di Venezia del 1957 avesse citato Nilla Pizzi, Claudio Villa e Giorgio Consolini. Sarebbe stato immediatamente allontanato. Sarebbe intervenuta la sorveglianza e il vecchio leone immediatamente ricoverato in analisi. Si dirà. Ma quelli di oggi sono cantautori. Sì, ma nemmeno dei migliori. Perché a cercare un cantautorato impegnato bisogna risalire ai settanta-ottantenni come Conte, De Gregori e Guccini o ai defunti De Andrè e Gaber. Sarà che tutto deprime. “Mondo ladro, mondi rubaldo, reo mondo”, scriveva Boito nel Falstaff di Verdi. Bando alle ciance. Se il livello culturale della classe dirigente politica italiana si vede dalle citazioni non migliori sono i ricorsi a Fedez della Meloni, inorgoglita dalla visita di Tom Cruise. Celebre la sua frase: “Nella carbonara ci va il guanciale”, la presidente si salva citando Steve Jobs, Scruton e Montesquieu, che non penso proprio abbia studiato, tanto gli ultimi due, il punto di riferimento dei conservatori e dei liberali, siano in contrapposizione. Ignazio La Russa non conosce Lukaschenko e a Ballarò se ne esce con un donnabbondiano “E chi è costui?”, mentre le gaffes sono all’ordine del giorno. Dal tunnel per i neutrini della Gelmini, al “Sarò breve e circonciso” del deputato grillino Davide Trepiedi e allo sgrammaticato Di Pietro che se ne esce con un “Non c’é niente di peggio del cieco che non vuol vedere” (sic…). Ma tornando a Nenni, a Togliatti, a Moro, a Berlinguer che si scontravano con le parole di Benedetto Croce, di Don Sturzo, di Marx ed Engels e di Lenin, che parlavano di Proudhon e di massimalismo e riformismo, o di un La Malfa che conosceva a memoria Giuseppe Mazzini, non si può che concludere che é assai desolante il punto in cui siamo arrivati. Per spiegare la svolta del compromesso storico Berlinguer scrisse tre saggi su Rinascita dopo il colpo di stato in Cile, mentre la Schlein se la cava elencando sette cose da fare col contorno di tre musici del momento. E’ molto triste passare dal marxismo-leninismo al fabi-silvestri-diodaismo, cara Elly, comunque la si pensi. E io la penso in modo molto diverso dagli uni e (per quel che ne so) anche dagli altri.
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