Quello che Barbero dimentica
Alessandro Barbero é anche uno storico televisivo. Non é semplice unire le due caratteristiche. Molti storici, studiosi e scrittori di migliaia e migliaia di pagine ormai anche ingiallite, non sono personaggi televisivi. Per esserlo non basta sapere, bisogna anche saper comunicare. E farlo in modo chiaro, sintetico e diretto. Alternando date e ragionamenti seri con battute, paradossi e commenti ironici per attirare l’attenzione anche di chi storico non é. Orbene, Barbero, questo fa. E lo si ascolta sempre volentieri. Nella sua prolusione sulla storia della democrazia e del suo opposto, cioè la dittatura, é stato molto efficace e vivace, ma con un’evidente omissione sulla quale poi mi intratterrò. Il disegno tratteggiato da Barbero parte da Atene e arriva ai giorni nostri. Un’ora per raccontare la storia di due millenni e mezzo. Ci vuole capacità di sintesi cge implica conoscenza profonda della storia. Ma la capacità di sintesi non può tuttavia giustificare la rimozione di un momento storico decisivo. Certo la democrazia ateniese era imperniata sul potere del popolo anche di proporre e votare leggi, una sorta di democrazia diretta, riservata però solo agli ateniesi. Con Pericle ebbe il suo acme. Ma dopo la sua morte scivolò nella confusione, il vero limite della democrazia. E produsse un regime definito oligarchia, perché, si pensava, non tutti gli uomini sono uguali (le donne non dovevano contare nulla, neanche, poi, nella più antica delle democrazie elettorali moderne, quella americana, che dava a tutti gli uomini il diritto di voto già alla fine del settecento, conquistato in Italia solo nel 1913, mentre quello femminile risale nel Belpaese solo al dopoguerra). E dunque meglio fidarsi dei migliori, dei più sapienti, dei saggi a cui fece riferimento Platone, anti democratico per eccellenza. L’oligarchia fu di fatto imposta agli ateniesi dopo la guerra del Peloponneso e poteva trasformarsi in tirannia. E’ Senofonte che cita la lista dei 30 tiranni. E’ Roma, non Atene, che inventa un nuovo sistema, quello monarchico, la leggenda dei sette re, poi il periodo repubblicano dei consoli, infine una nuova monarchia, costituita da imperatori. Il cui diritto, si diceva, era attribuito da un Dio. Il primo imperatore cristiano, Costantino, costruì una sovranità divina nel segno del cristianesimo. Più tardi questa sovranità divina fu messa in discussione dalla Chiesa. A cominciare da Gregorio VIi che si chiese chi mai potesse fregiarsi di tale diritto di rappresentanza se non il papa, legittimo erede di quella Chiesa fondata da Pietro su delega diretta di Gesù Cristo: “Tu sei Pietro e su questa pietra…”. La lotta tra Impero e Chiesa fu nient’altro che una lotta di potere per la supremazia dell’uno sull’altra. Esempio eclatante la lotta per le investiture. E sul piano politico la guerra tra Guelfi e Ghibellini che investiva i comuni. In questo ambito si presenta in tutta la sua originalità la questione dei comuni, come momento di partecipazione e in qualche misura di democrazia. Per questo i comuni furono costretti a far le valige in favore delle Signorie. Clero e monarchia barattarono i loro poteri nelle loro sfere d’influenza e quasi sempre la Chiesa avrà la meglio nella selezione dei meriti e dei vizi. Il Seicento é l’epoca delle condanne al rogo di molti cristiani, accusati di eresie anche se non appartenenti allo stato vaticano, col consenso dei monarchi o dei signori, vedasi il caso di Giordano Bruno. La rivoluzione francese mette sotto processo il connubio. La monarchia e il clero non potevano sfruttare la borghesia e spendere i suoi soldi. Ma l’89 del settecento fu lo strappo anche di un intero mondo. Il popolo voleva comandare. Il terzo stato era il piû numeroso e all’Assemblea non si doveva votare per censo ma per teste. Però l’infatuazione rivoluzionaria sfociò nel terrore e nel nuovo bisogno di un ordine e finí con Napoleone, che si farà poi incoronare imperatore lui stesso. Gli ideali di libertà che la rivoluzione francese aveva proclamato non si cancellarono e sopravvissero ovunque nel mondo. Cinque anni prima del mitico ‘89 aveva trionfato la rivoluzione americana con la proclamazione dell’indipendenza e la costituzione degli Stati uniti d’America, il primo paese al mondo a concedere il suffragio universale maschile. Ma esisteva già il problema degli afro americani, fino a Lincoln senza alcun diritto. Anzi furono le sue leggi che abolirono la schiavitù a provocare la rivolta degli stati del Sud e la guerra civile. Intanto l’Europa si scomponeva e ricomponeva a piacimento degli Imperi centrali e il loro dominio sulla penisola fu messo in discussione dalle diverse guerre d’indipendenza che abbinavano, secondo i pensatori più avveduti, la lotta per la cacciata dello straniero alla questione sociale. E qui siamo alle dimenticanze di Barbero, efficacissimo sin qui, nel racconto che ho riferito sommariamente e in parte commentato. Si, perché dopo la rivoluzione industriale nasce una nuova classe: il proletariato. E dalle mille escursioni fatte su di esso dai primi pensatori socialisti si innesta il marxismo che ritiene il sistema capitalistico orientato verso la sua fine per le sue contraddizioni endemiche e prospetta la rivoluzione non solo come una possibilità, ma come una necessità. Anzi proclama che il proletariato, conquistato il potere, lo avrebbe dovuto esercitare come una dittatura, sia pur transitoria, per poi sciogliersi in una terza fase, definita comunismo, in cui gli uomini sarebbero diventati fratelli e il denaro non più necessario. Il leninismo, contestato dai marxisti ortodossi perché la rivoluzione sarebbe dovuta esplodere in una società a capitalismo maturo come l’Inghilterra e non in una società feudale come la Russia, corresse dunque una delle previsioni sulla necessità del socialismo. Quella dell’ottobre fu una rivoluzione non del proletariato ma dei militari e dei gruppi bolscevichi. Quindi naturale che la dittatura non sia stata del proletariato ma del partito in nome di una supposta delega ricevuta dal proletariato, in Russia ancora contadino. Non a caso sarà Stalin ha pianificare una rivoluzione industriale con orribili conseguenze sul piano umano, vedi l’Olomodor in Ucraina. Barbero insomma quando parla di dittatura, non fa alcun riferimento al comunismo, ma propone un solo accenno al fascismo, come nuova forma di oligarchia, in nome del governo dei migliori. Ma il comunismo non é stato un incidente nella storia dell’umanità, ma una spietata forma di autoritarismo, nel periodo staliniano simile, con processi farsa per gli oppositori e fucilazioni di massa, proprio alla caccia delle streghe nel seicento cattolico. Non a caso le due dottrine erano entrambe impregnate di assolutismo, e chi non vi si assoggettava era un eretico per la Chiesa e un traditore per i partiti comunisti. E gli eretici e i traditori andavano bruciati nel rogo o impiccati, come poi avvenne anche in epoca post staliniana, per l’ungherese Nagy, protagonista del processo di democratizzazione sfociato nella repressione dell’autunno 1956, e condannato a morte nel novembre del 1958. Questi sistemi sono crollati nel 1989, ma hanno orientato masse di popolo in tutto il mondo. La stessa fondazione dei partiti comunisti fu decisa, nelle forme, negli statuti e negli orientamenti politici, direttamente da Mosca. Se parliamo delle dittature non si può omettere la particolare simbiosi del comunismo sovietico e del nazismo. Il patto Ribbentrop-Molotov non fu solo una promessa, poi non mantenuta da Hitler, di non aggressione reciproca, ma fu una scelta di indifferenza di entrambi al diritto all’indipendenza e alla libertà degli altri paesi. Prima fra tutte la Polonia, divisa in sfere di influenza e invasa dai due paesi del patto. Dunque si può ritenere quello di non aggressione un’intesa tra le due potenze come un dovere di aggressione di entrambe in altri territori: pensiamo all’annessione all’Urss delle repubbliche baltiche e al tentativo di conquista della Finlandia. E pensiamo anche all’operazione Barbarossa alla quale i sovietici si opposero eroicamente e vittoriosamente. Stalin reagì perché attaccato. Se no probabilmente non avrebbe mosso un dito contro il nazi fascismo, ormai quasi padrone dell’Europa. Il solo comunista che si oppose al patto fu Umberto Terracini e pagò la sua lungimiranza e il suo coraggio anche con l’espulsione dal partito. Vi sarà riammesso solo nel dopoguerra e salirà, dopo la scissione socialista e le dimissioni di Saragat, alla presidenza della Costituente. Sarà colui che prima di morire, e pur essendone stato uno dei massimi protagonisti, ammise che la scissione del 1921 era stata un errore e che aveva ragione Turati, cioè l’ala riformista, collaborazionista, democratica del socialismo italiano. E qui si staglia, proprio nelle forme della democrazia, il vero contrasto in seno al mondo socialista. Parlando dello scontro tra democrazia e dittatura non si può non trattare di questo tema che animò dalle origini la storia del partito o dei partiti dei lavoratori italiani. Chi, come i riformisti o anche i libertari non possedevano dogmi ma esponevano ragionamenti, non ha mai considerato gli altri traditori, degni di una punizione anche la maggiore, anche quella della morte. Chi, anzi, come Turati in Italia o Jean Jaures in Francia, o Wllly Brandt in Germania o Mc Donald nel Labour inglese non avevano bisogno di dittature perché non proclamavano verità, erano attestati nella difesa, anzi nel massimo sviluppo della democrazia, intesa come emancipazione evolutiva delle classi più deboli. Solo coloro che proclamano verità hanno bisogno di dittature per difenderle, tribunali speciali per condannare i non credenti, fucilazioni e impiccagioni per i reprobi. Barbero su tutto questo ha soprasseduto. La democrazia si difende senza aver dogmi da tutelare. Nel fortino militare dei difensori delle verità assolute non c’ê posto per gli uomini liberi.
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