Morte e politica
Quello che é successo al primo ministro slovacco Robert Fico non rappresenta una novità. La storia é piena zeppa di attentati, più o meno riusciti, a re, imperatori, presidenti e anche papi. Senza andare troppo indietro nel trascorso italiano ricordiamo all’inizio del secolo scorso il regicidio dell’anarchico Bresci, poi i sei tentativi di ammazzare Mussolini, il delitto Moro e l’attentato a Papa Wojtyla. La cultura tradizionale della politica italiana, seguendo i precetti delle diverse ideologie, condannava e assolveva i responsabili a seconda se il colpito fosse un amico o un nemico. Annoto, ad esempio, il comportamento della tendenza rivoluzionaria del Psi a proposito dell’assassinio a Monza del re Umberto I, colpevole di aver onorato il generale Bava Beccaris che nel 1898 aveva guidato l’esercito contro il popolo milanese, seminando di lutti la città. E lo sapevate che il primo che organizzò un attentato alla vita di Benito Mussolini fu un deputato socialista riformista, Tito Zaniboni? Era il 4 novembre del 1925. Mussolini avrebbe dovuto essere colpito dal fucile austriaco del parlamentare mantovano mentre celebrava l’anniversario della vittoria dal balcone di palazzo Chigi, ma una spia sventò l’agguato. Difficile per gli antifascisti condannare l’attentato, a cui ne seguirono altri, dopo l’omicidio di Matteotti e la svolta autoritaria del gennaio del 1925. Non voglio dilungarmi sugli omicidi di regime solo segnalando quello di Matteotti, del quale il prossimo 10 giugno ricorre il centenario, e quello dei fratelli Rosselli, avvenuto in Francia e commissionato a un’organizzazione estremista d’Oltralpe: la Cagoule. Tutti (ma proprio tutti no) hanno condannato il delitto Moro. Diciamo tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale. Ma non sono mancati segmenti importanti del mondo politico e intellettuale che si sono proclamati “né con lo stato, né con le Bierre”. E poi eravamo nella fase dell’unità nazionale. E sì che in pochi, Craxi su tutti, si diedero da fare per salvargli la vita. Moro vivo faceva paura soprattutto ai suoi. Alì Agca ha davvero agito da solo nell’attuazione dell’attentato a Giovanni Paolo II del 1981? Difficile non comprendere il fatto che il papa sia stato uno dei protagonisti della caduta del comunismo e che eliminarlo conveniva ai regimi dell’Est. Poi ci sono gli attentati silenziati, come quello a Enrico Berlinguer nel 1973 a Sofia. Un’auto che lo stava accompagnando all’aeroporto é stata investita da un camion, l’interprete ë stato sbalzato fuori dal finestrino ed é morto, gli altri due accompagnatori feriti, il segretario del Pci se l’é cavata con lievi ecchimosi. Anche questo tentativo, non andato a buon fine, é probabilmente stato un attentato di regime. Meglio, per allora, non fare troppo chiasso. In fondo quelli dell’Est restavano pur sempre partiti fratelli. Pare appartenere invece al primo tipo, l’attentato di un singolo, quello al primo ministro slovacco. Per fotografarne la novità occorre partire dal contesto. E cioè dalla fine del bipolarismo est-ovest e dalla crisi delle ideologie. Di più dalla fine delle contrapposizioni destra-sinistra. Prendiamo la vittima e l’attentatore: Robert Fico e Juraj Cintula. Il primo, già comunista, e poi socialista (il suo partito si chiama Smer Ssd e ha aderito fino all’anno scorso, assieme a quello del presidente della Repubblica Pellegrini (Hlas-Sd) al Pes) é alleato con un partito di estrema destra e con frammenti di estrema sinistra, é nazionalista xenofobo, contrario a inviare una sola cartuccia alla resistenza ucraina e amico di Putin, più o meno come il suo amico Orban. Molte ombre calano sulla sua azione politica. L’omicidio del giornalista Jan Kuciak e della sua fidanzata Martina Kusnirova che avevano denunciati legami tra la ndrangheta e il partito del primo ministro e avevano causato le dimissioni di Fico non sono bastate a impedirne una nuova elezione. Dal canto suo l’attentatore Juraj Cintula (e qui siamo al paradosso) si è professato pacifista e non violento (anzi, ha fondato addirittura un movimento nella sua città con lo scopo esplicito “di prevenire la diffusione della violenza nella società”. Ma risulta appoggiato, si dice, da un gruppo paramilitare filo russo. Riepiloghiamo fregandoci gli occhi. La vittima é un ex comunista poi a capo di un partito socialdemocratico espulso solo l’anno passato dal Pse, che ha costituto un governo con l’estrema destra, l’attentatore un poeta s scrittore che ha fondato un movimento non violento appoggiato da un gruppo paramilitare russo. Sembrano, i due, addirittura in sintonia. Misteriose a questo punto le motivazioni dell’attentato.
Leave your response!