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La Chiesa e Mani pulite

17 Giugno 2024 86 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Dopo l’autocritica clamorosa di Borrelli (“Non valeva la pena distruggere il mondo di ieri per cadere in quello di oggi”), dopo l’improvvisa conversione di Di Pietro alla legge che prevede la separazione delle carriere dei magistrati (contro la quale l’Anm ha proclamato scioperi e mobilitazioni), dopo le rivelazioni del sen. Pellegrino che ha ammesso un rapporto privilegiato del suo partito, il Pci-Pds, coi magistrati di Milano, gestito da Luciano Violante, ecco puntuale le riflessioni di monsignor Ruini, già presidente della Cei e punto di riferimento di una corrente importante della Chiesa cattolica. In un’intervista rilasciata a Francesco Verderami e pubblicata sul Corriere Ruini dichiara a proposito della rivoluzione giudiziaria: “il giudizio era e resta negativo. Emersero effettivamente problemi di legalità, ma ero sconcertato nel vedere amici cari morire sotto il peso di accuse mai dimostrate. Assistere a metodi che sembravano intimidatori verso le persone e persino verso le istituzioni. Constatare gli sconfinamenti di potere e quel meccanismo unilaterale in base al quale c’era chi veniva salvato e chi no». E poi ancora: «Mi rivolsi a Franco Marini. Lo esortai: “Faccia un discorso forte sulla giustizia, come quello che ha fatto Bettino Craxi in Parlamento”. Mi rispose: “Ci ho pensato ma non me la sento”». Per la verità allora la Chiesa, e anche la Cei, non presero posizione e cavalcarono l’onda dell’indignazione popolare frutto del combinato disposto “manette ai politici”, blocco dell’informazione critica e coordinamento a senso unico dei giornali e delle televisioni (anche quelle di Berlusconi). Ruini rivela anche un tentativo che può essere paragonato a una sorta di golpe. Il presidente della Repubblica Scalfaro gli avrebbe esplicitamente chiesto di favorire la cacciata di Berlusconi dopo elezioni regolarmente vinte da quest’ultimo. E Ruini disse no. A proposito degli anni della rivoluzione giudiziaria, sulla quale chiediamo ancora l’istituzione da parte del Parlamento di una commissione d’indagine, da segnalare, nel clima della rivalutazione delle personalità della cosiddetta Pdima repubblica, un’intervista di Giulio Di Donato su Il Mattino. Giulio era allora deputato, eletto col maggior numero di preferenze nel collegio Napoli-Caserta e vice segretario nazionale del Psi. E annota: “Ho subito 44 processi e tre ordinanze di custodia cautelare. Una sola condanna peraltro ingiusta”.Nel mio ultimo libro, “L’impronta”, ho ricordato le traversie dell’intero gruppo dirigente del Psi, con esaurienti esclusioni (torna alla mente la frase di Ruini), l’ossessione giustizialista che animava i magistrati nei confronti dei socialisti, la distruzione di un partito (che aveva certo commesso errori) per via giudiziaria. Questa parola, socialista, veniva usata, come ricorda il nostro Ivo Costamagna, raggiunto da un provvedimento giudiziario quando era consigliere regionale delle Marche, come se fosse di per sé un reato. “Sei anche un socialista” gli dissero i magistrati. Come se fosse un”ulteriore prova di colpevolezza.. Possiamo essere lieti che oggi molte opinioni siano cambiate e addirittura alcune capovolte. Sono trascorsi trent’anni. Ci voleva così tanto tempo? O adesso queste rivelazioni si manifestano perché sono ininfluenti sulla politica e non fanno male?

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