Ciao Ottaviano
Non era più vivo da anni, colpito da un cocktail di malattie e da una quindicennale persecuzione giudiziaria. Ma ieri si é spento anche il sole a Ottaviano Del Turco, sempre accudito amorevolmente dalla famiglia nella sua casa abruzzese di Collelungo. Quella di Ottaviano é una storia allegra e triste. La sua é una vita dolce e amara. Anzi, un bel percorso sindacale, politico e amministrativo, viene colpito al cuore da un missile improvviso sparato dai magistrati pescaresi, distruggendo lui e la sua salute. Ma andiamo per ordine. Ho conosciuto Ottaviano quando non era ancora segretario aggiunto di Luciano Lama (lo divenne nel 1983 dopo l’elezione di Dino Marianetti alla Camera). Veniva spesso a Reggio Emilia e tra un bicchiere di lambrusco e un piatto di tortelli, si parlava di politica e anche della Lazio, la squadre di cui Ottaviano era tifosissimo. Poi, durante il governo Craxi, Del Turco, assieme alla Uil di Benvenuto e alla Cisl di Pierre Carniti, fu protagonista della difficile battaglia riformista al referendum sulla scala mobile. Lo incontrai poco dopo reduce da uno scontro con Bertinotti che della Cgil capeggiava l’ala più dura. Mi colpiva il suo coraggio unito a una mitezza di carattere e a una divertita ironia che accompagnava sempre i suoi racconti. Come quando volle definire la villa affittata da Martelli sull’Appia “L’Appia dei popoli”, parafrasando un celebre detto marxista sulla religione. Dopo le dimissioni di Craxi, e dopo i mesi della segreteria Benvenuto, toccò a lui guidare quel che restava del Psi. Anch’io vissi quella fase in segreteria nazionale con Giorgio e Ottaviano. Furono mesi tragici, coi dirigenti che cadevano come birilli colpiti da avvisi di garanzia a pioggia, con la sede di via del Corso che pareva un’ambasciata sudamericana dopo un colpo di stato. Fuggivano tutti, chi con un telefono e chi con un computer. Rimanemmo soli e assediati. E Del Turco non riuscì ad evitare la decimazione dei parlamentari socialisti. Di 92 deputati il polo progressista ne candidò solo due. Processati anche per le nostre ragioni da tavoli giacobini con tanto di tricoteuses urlacchianti misero al rogo quasi tutti anche quelli non inquisiti. Era la fine, travolti da errori politici e dalla rivoluzione giudiziaria, rimase poco o nulla. Del Turco passò a Boselli il testimone, mentre la stragrande parte del nostro elettorato si rifugiò nelle accoglienti stanze di Arcore. In questo clima nacque il Si e poi, nel 1999, lo Sdi. Nascerà nel 2001 il Nuovo Psi. Del Turco intanto venne eletto prima deputato e poi senatore. Durante la fase del governo di Giuliano Amato, 2000-2001, Ottaviano é ministro delle Finanze. E’ anche presidente della commissione antimafia. Alle elezioni europee del 2004 viene eletto per la lista Uniti nell’Ulivo europarlamentare. Un anno dopo, nel 2005, viene eletto governatore dell’Abruzzo e nel 2007 fonda l’Associazione Alleanza riformista con l’intento di portare i socialisti nel Pd. Al congresso dello Sdi prevale però la linea della continuità di Enrico Boselli e Del Turco abbandona il partito e aderisce col suo gruppo al Pd. Entra nella direzione nazionale. Poi nel 2008 il terremoto. E’ l’ultimo atto. Ottaviano viene arrestato assieme a una decina tra assessori, ex assessori, dirigenti, con l’accusa di associazione per delinquere, truffa, corruzione e concussione, nell’ambito di un’inchiesta avviata dalla procura di Pescara sulla gestione della sanità privata in regione. Poco dopo l’arresto (sta in prigione 28 giorni poi ai domiciliari) si dimette da presidente della regione e dalla direzione nazionale del Pd, che lo scarica e non lo difende. Piano piano, anno dopo anno, le accuse si sgonfiano, dopo la condanna in primo grado. In appello cade l’accusa di corruzione, concussione e truffa, poi in Cassazione cade anche quella di associazione per delinquere. Resta quella di induzione indebita. E qui si rischia il paradosso perché si ammette che Del Turco non aveva corrotto nessuno e non aveva preso soldi da nessuno ma si sostiene che avesse operato per fare avere soldi ad altri (chi e perché non é chiaro). Qualcosa doveva pur rimanere nell’odiosa macchina del fango. L’ultima sentenza é del 2016, otto anni dopo l’arresto. Intanto Ottaviano, stanco e stressato, si ammala gravemente. Gli tolgono anche il vitalizio parlamentare e sono i suoi vecchi compagni socialisti a protestare e a indurre il Parlamento a una retromarcia. Negli anni in cui la malattia non lo aveva completamente sopraffatto Ottaviano dichiarò: “Penso a Bettino e a quel che gli é capitato”. Poi si chiude in un mutismo definitivo. Il figlio Guido, col quale ho parlato oggi, mi prega di riferire un invito rivolto in nome di suo padre e dopo la sua persecuzione. “Vorrei che il ministro Nordio facesse le riforme promesse perché casi come quello di mio padre non si ripetessero”.
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