Pd: partito berlingueriano?
Adesso il Pd ha gettato la maschera. Era il partito un po’ di tutti. C’era chi poteva esaltare Moro e perfino De Gasperi, chi arrivava a Dossetti e financo a Pertini. Con la segreteria Schlein (non a caso Bersani é tornato a casa e D’Alema si é riavvicinato) il Pd é diventato solo berlingueriano. Intanto si celebrano le feste dell’unità (ho già scritto che la minuscola non é un refuso, ma é una scelta per non cadere nell’esaltazione del giornale diretto da Piero Sansonett). E alla festa nazionale il salone politico é stato dedicato proprio a Enrico Berlinguer, come la tessera del Pd per l’anno in corso. Ora che Berlinguer sia stato il segretario che ha elaborato la strategia del compromesso storico e abbia favorito l’unità nazionale nella seconda metà degli anni settanta, con l’Italia alle prese col terrorismo e la crisi economica, non c’é dubbio. Che Berlinguer sia stato il segretario del cosiddetto strappo da Mosca, nel 1981, dopo il colpo di stato in Polonia e che abbia anche, forse, rischiato la vita in uno strano incidente avvenuto in Bulgaria, anche. Ma che Berlinguer sia stato l’antesignano di un partito del socialismo europeo, proprio no. Al massimo concepiva il Pci, a cui non pensava di cambiare nome, a metà strada tra comunismo e socialdemocrazia. Questo nei primi anni ottanta, perché negli anni settanta reagì al saggio di Craxi su Proudhon con l’assunto: giù le mani da Marx e anche da Lenin. Poi é vero, Berlinguer e soprattutto i berlingueriani, al contrario dei togliattiani, legati all’Urss ma moderati in politica interna e poi, caduto il comunismo, divenuti riformisti, non sopportavano i socialisti preferendo di gran lunga i democristiani. In questo senso si può sostenere la tesi di Berlinguer come padre spirituale di quel partito che col socialismo europeo, e con quello italiano in particolare, non ha nulla a che fare. Obiezione: i socialisti europei non la pensano come me. Pazienza.
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