La Forza della Netrebko
Entusiasmo per la prima della Scala. La forza del destino di Giuseppe Verdi ha fatto emergere una protagonista assoluta: Anna Netrebko. La Leonora della Netrebko ha il fuoco dentro. Canta con una voce che alterna i toni gravi del contralto (“il” e non “la” perché soprano e contralto sono gli unici sostantivi maschili che si adattano solo al femminile) agli accenti acuti di un soprano lirico leggero. D’accordo, la Netrebko non possiede i legati tebaldiani nella Vergine degli angeli, ma supera se stessa e qualsiasi cantante lirica vivente in “Pace, pace mio Dio”, dell’ultimo atto. Canta con l’anima, recita cantando, ti punge ed emoziona. Sta in scena da protagonista assoluta, come una diva dell’ottocento. La regia di Leo Muscato é rispettosa, senza divagazioni clamorose e fuorvianti (non abbiamo sentito la mancanza di Livermoore) centrata su un palco roteante in cui si girano le scene, i secoli (il primo atto é del settecento, il secondo dell’ottocento, il terzo del novecento, il quarto dell’attualità) assieme alle quattro stagioni. D’altronde il tracciato dell’opera é cosi denso di avvenimenti, di situazioni, di emozioni: il dolore per la morte accidentale del padre di Leonora procurato da Alvaro, suo amato, l’intransigente e impietosa sete di vendetta del fratello di lei, don Carlo, la tragedia della guerra in cui sono compagni d’arme i due rivali, incoscienti delle rispettive identità, poi disvelate, la fede e la conversione in un convento di Leonora che sceglie di vivere in un anfratto isolato dal mondo, lo stupore per presenza dello stesso Alvaro che si trova inconsapevole di lei nello stesso convento, intervallate dall’allegro e comico intermezzo di Preziosilla tra i soldati e di fra Melitone nel convento. E poi il duello e la morte di Don Carlo che prima di spirare trafigge la sorella. Un feuilletton davvero insopportabile se Verdi non vi facesse capolino con la sua geniale creatività. Da ricordare che di quest’opera l’autore fece due versioni. Quella data a San Pietroburgo ove il maestro viene ripreso in foto d’epoca, siamo nel 1862, infreddolito e impellicciato sulla slitta trainata dai cani. Questa versione venne data al teatro Apollo di Roma l’anno dopo col titolo di Don Alvaro. La seconda, nella quale Verdi aggiunse la meravigliosa sinfonia, sunto di diverse arie dell’opera, e un finale straordinario in cui i violini tesi disegnano l’eterea e celestiale presenza dell’Al di là, oltre a qualche intervento marginale, venne eseguita alla Scala di Milano nel 1869, con protagonista la celebre Teresina (Verdi la chiamava cosi con un’intimità sospetta) Stolz. Nella seconda Alvaro sopravvive laddove nella prima egli si suicidava dando origine a una morte collettiva forse un po’ troppo truculenta. L’idea di tenere insieme le molteplici situazioni attraverso la velocità di una ruota che gira, a me pare offra un contributo alla continuità di un’opera segmentata di episodi alterni e financo contraddittori, dove la casualità diventa responsabilità, origine di vendetta e di crisi di coscienza. Passiamo al resto. Che dire del sostituto di Kauffman che, per motivi familiari (si dice sempre così) ha preferito rinunciare all’impervia parte di Don Alvaro? Brian Jagdge é parso sicuro, con voce calda, capace di superare bene un tessuto vocale difficile, forse anche più del Radames dell’Aida. Serve una vocalità drammatica, una voce lirico spinta, un erede del grande Corelli. Jadge ha mezzi adeguati, forse concentrandosi un po’ troppo sul cantato perde la sua dimensione in scena, nei movimenti e nelle espressioni. Di livello assoluto il don Carlo di Ludovic Tezier, un baritono completo, di forza e di sinuosità. Un baritono dagli accenti drammatici capace di afferrare le note alte con facilità, tipico di Un ballo in maschera, interpretato alla Scala nel 2022, e misuratosi in diversi ruoli verdiani, dal Rigoletto al Simone al Macbeth, a La Forza del destino, della quale é stato protagonista proprio assieme alla Netrebko e Kauffman a Londra nel 2019. Tezier ha raggiunto la sua piena maturità e a 56 anni ha dato dimostrazione di essere in perfetta forma. Molto bene tutti gli altri interpreti tra cui eccelle la Preziosilla di Vasilisa. Betzhanskaya, divertente maschera verdiana che rimbalza in scena somigliando nelle arie e nei fraseggi al paggio di Un ballo in maschera, l’opera precedente la Forza del destino. Chailly ha dato colori alle musica e la sua orchestra ha suonato da par suo la sinfonia iniziale forzando molto sugli ottoni e le casse. Da segnalare lo stupefacente finale reso in forme impressioniste. E disegnato con meticolosità. Trionfo é una parola adeguata. E’ stato un trionfo quale alla prima della Scala non si registrava da un po. Senza una contestazione (qualche buu alla Netrebko in quanto russa sono apparsi decisamente fuori luogo). E non poteva mancare un “Viva Verdi” lanciato dal loggione che ha concluso l’opera: un omaggio meritato al genio di Busseto.
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