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Capuleti e Montecchi come Verona-Chievo

31 Gennaio 2025 26 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Bellini? Bellino. Le due interpreti? Bravine. Il pubblico? Applausini. I teatri di Lombardia hanno prodotto “I Capuleti e i Montecchi”, opera di Vincenzo Bellini, che per due serate é stata messa in scena dal teatro Municipale Valli di Reggio Emilia (il 24 e il 26 gennaio). Cominciamo con uno sguardo sull’opera che Bellini dovette scrivere in due mesi per la Fenice di Venezia. Fu costretto a riprendere alcune arie dalle opere precedenti, in particolare la Zaira e Adelson e Salvini (da non confonderlo con Matteo). Il tracciato dell’opera si sviluppa sul dramma shakeaspiriano. L’opera di Bellini é un riadattamento, su nuovo libretto di Felice Romani, dell’opera di Nicola Vaccaj di cinque anni prima. La romanza più emozionante, quella di Giulietta, “Oh quante volte, quante”, é ripresa dalla Zaira e il finale dell’opera era spesso cambiato utilizzando quello di Vaccaj dalle varie protagoniste che nel 1830, data d’esordio dell’opera di Bellini, erano i dominus dei teatri, vedasi Giuditta Grisi che cantò la prima e che con Bellini ebbe una relazione sentimentale. Veniamo a Reggio. Benedetta Torre, soprano leggero e di agilità che interpreta la parte di Giulietta, è credibile, voce dolcissima, con i soliti gorgheggi vellutati. Forse manca un po’ nell’accento drammatico perché Giuletta é presa dall’amore per Romeo ma dalla consapevolezza che Romeo é della fazione avversa e ha ucciso in battaglia suo fratello. Annalisa Stroppa, mezzo soprano, con voce grave, robusta e convincente, si esalta nei toni aggressivi e negli accenti eroici, un po’ meno nel voluttuoso inganno di un amore perseguitato e impossibile. E’ il contrario. Sia chiaro. Due belle voci. Certo nulla a che vedere con le protagoniste de I Capuleti e Montecchi del 1990, trasferiti a Reggio da Bologna, con la Devia e la Dupuis. Temporibus illis. “Tutto cangia”, come nel finale del Guglielmo Tell. Ma non sempre in meglio. Benino anche il tenore che interpreta la parte di Tebaldo, il promesso sposo di Giulietta che lei rifiuta per amor di Romeo. Questo Matteo Falcier se ne esce con due do nella romanza del primo atto “E’ serbato a quest’acciaro” e conseguente caballetta. Lorenzo, l’amico della coppia, è Matteo Guerzè e Capellio, il capo vendicativo e inflessibile dei Capuleti, è Boapeng Wang. Tutti e due bene. Sulla direzione d’orchestra e sulla regia vogliamo spendere qualche parola. Non saprei dire se Sebastiano Rolli, alla guida de “I pomeriggi musicali”, abbia deciso che Bellini vada suonato così. Con forti e fortissimi. Anche negli stacchi. Senza soste, colori dolci e tenui, dei quali Bellini é maestro. Ho avuto a volte l’impressione che Bellini fosse un post wagneriano e non uno che quando Wagner cominciò a suonare e a comporre era già morto. Ma certamente sbagliamo noi che ne sappiamo di meno. Buoni i singoli elementi: i fiati, l’arpa, i violini. D’altronde la peculiarità di quest’opera, di passaggio verso Norma e I Puritani, é una originale prevalenza dell’orchestra, un protagonismo davvero antesignano per l’epoca almeno quanto lo fu l’Ermione per Gioacchino Rossini. Non arie anticipatrici della musica delle romanze, ma solitarie, parallele, di commento. La regia. Non saprei commentare un dramma di due fazioni cinquecentesche armate e sanguinarie, un amore lacerante e assoluto che culmina in un duplice suicidio, tutto questo trasformato in una partita di calcio con due tifoserie di ultras contrapposte, con tanto di sciarpe e cartelloni che s’innalzano. E un Romeo che entra nella stanza, infilandosi nel letto di Giuletta, vestito da maratoneta. Oltretutto non si può correre e poi fare l’amore come se nulla fosse. Ma Romeo avrà avuto anche questa dote. Secondo De Rosa, regista creativo, ovvio.

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