La sindrome del balcone
I pentastellati paiono sempre in preda alla sindrome del balcone. Quella che li indusse a festeggiare, come se fosse il 25 aprile, un aumento del debito in parte corrente come volevano i due partner del Conte uno, la Lega per consentire il provvedimento di quota cento e i grillini il reddito di cittadinanza. Questi ultimi, lo ha sottolineato opportunamente Chicco Testa l’altra sera in tivù, vanno costantemente alla ricerca di vittorie da celebrare senza che vi siano state battaglie. Assomigliano molto a Don Chisciotte de la mancia che, col suo Ronzinante e Sancio Pancia suo scudiero, combatteva solo contese illusorie. Gli obiettivi non saranno mulini a vento scambiati per giganti, vecchie locande scambiate per castelli, mesti funerali scambiati per eserciti nemici, ma sono quasi sempre simboli artefatti costruiti ad arte per potere essere combattuti e vinti. Così é stato sul fronte del ricalcolo dei vecchi vitalizi parlamentari, che rappresentavano, a loro giudizio, il male della vecchia politica che i Cinque stelle dovevano estirpare, ma che poi é stato giudicato illegittimo dall’ufficio giurisdizionale del Senato. Così é stato sulla questione del Mes. Loro hanno promesso all’elettorato che non avrebbero mai attivato questo fondo e a nulla loro importa che oggi questo fondo abbia sostanzialmente cambiato le sue caratteristiche e si presenti come un affare per l’Italia. A loro basta la parola. Il Mes resta un mulino a vento da distruggere. E che dire sul caso autostrade? Poco importa a loro che sulle responsabilità del crollo del ponte Morandi sia in corso un procedimento giudiziario ancora non ultimato. i pentastellati hanno da subito individuato il loro simbolo da colpire che ha un nome e un cognome: Luciano Benetton e la sua famiglia. Cosi hanno condotto una scorribanda per arrivare alla sua defenestrazione, tramite la revoca della concessione alla società di gestione, l’Aspi, a sua volta controllata da Atlantia, nella quale Benetton detiene ia maggioranza assoluta. Il decreto milleproroghe aveva, con un provvedimento discutibile perché unilaterale e retroattivo, fatto scivolare da 23 miliardi di euro a 7 l’indennizzo per un’eventuale ritiro unilaterale della concessione. La ministra delle infrastrutture Paola De Micheli, a seguito di una dettagliata lettera dell’avvocatura dello Stato, ha messo in guardia il presidente del Consiglio dall’eventualità di un ricorso che sarebbe stato vinto dai ricorrenti, riportando la cifra da sette a 23 i miliardi, che lo stato avrebbe dovuto sborsare. Parliamo di un costo enorme, che ammonta al sessanta per cento delle risorse italiane del Mes. Cosi nella notte la montagna ha partorito il topolino, l’astuto topolino che permette ai Cinque stelle di cantare vittoria. In realtà non c’è stata nessuna revoca. Lo stato si prende sul groppone, attraverso la Cassa depositi e prestiti, la maggioranza assoluta di Autostrade, la famiglia Benetton gli vende le azioni, tranne un 10-12 per cento che mantiene e che in futuro dovrebbe scendere perché acquistato da nuovi soci (quando, come e da chi non é chiaro). Nel contempo Atlantia effettua un balzo record sul mercato passando a un più 26 per cento che consente ai Benetton un ulteriore cospicuo guadagno. Se i Cinque stelle festeggiano i Benetton incassano e ringraziano.
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