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Tra democrazia e dittatura

19 Settembre 2020 373 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Beppe Grillo ha avvelenato gli ultimi giorni di campagna elettorale con dichiarazioni sfrontate, ma esplicite com’é suo costume. Non é nuovo il comico e leader politico del maggiore partito italiano, uscito dalle urne del 2018 con il 34% dei voti, a dipingere a tinte forti il suo progetto antiparlamentare. In questa occasione si é spinto addirittura a sostenere che é meglio la dittatura della democrazia. Grillo aveva cominciato in piena campagna elettorale del 2013 invitando i membri del parlamento ad arrendersi al suo popolo radunato di fronte al Montecitorio. Il 28 settembre del 2018, dopo aver formato un governo con la destra di Salvini, Di Maio esultava dal balcone di Palazzo Chigi annunciando che era stata abolita la povertà. Allucinazioni da regime. Parole d’ordine sudamericane. Il 20 luglio di quest’anno, per motivare il sì al referendum, il deputato Mauel Turzi, dei Cinque stelle, ha dichiarato: “Un Parlamento ridotto numericamente può essere controllato meglio”. D’altronde Grillo, già nel 2013, propose di abolire l’articolo 67 della Costituzione, secondo il quale il parlamentare esercita la sua funzione “senza vincolo di mandato”. Su questo giace in Parlamento un’apposita proposta di legge dei Cinque stelle. Dunque i parlamentari devono soggiacere senza alcuna autonomia alle direttive dei rispettivi partiti altrimenti decadono. In generale e più volte sia Grillo che Casaleggio hanno teorizzato il superamento della democrazia rappresentativa con la democrazia diretta, magari istituendo un plebiscito digitale su ogni legge, che ricorda da vicino il vecchio regime. “Oggi, grazie alla Rete e alle tecnologie” disse Casaleggio in un’intervista a “La Verità”, “esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile”. Era il 23 luglio 2018. Poco dopo Di Maio insistette: “Di solito i Casaleggio ci prendono sempre quando parlano di futuro, i cittadini già ci dicono che il Parlamento è inutile. Sta a noi, con atti concreti, dimostrare il contrario”. I Cinque stelle, oltre alla legge taglia parlamentari, e a quella contro l’assenza di vincolo di mandato, hanno depositato un’altra proposta di legge, quella per una sorta di iniziativa popolare legislativa, e un referendum propositivo, molto pericolosa perché mina le attuali prerogative del Parlamento. La legge imposta al Pd taglia del 40% il numero dei parlamentari, senza minimamente incidere sul cosiddetto bicameralismo paritario. Segue logicamente una strategia anti democratica e anti parlamentare. Disegnare il Parlamento come un poltronificio e tagliarlo con un forbicione é la rappresentazione tangibile di una vocazione che nessuno può far finta di non vedere. Zingaretti e il gruppo dirigente del Pd, con eccezioni nobili e coraggiose, non solo non hanno speso una parola per combattere questa battaglia di libertà e di democrazia, ma hanno deciso di schierarsi dall’altra parte, cioè coi candidati golpisti. E pensare che il capo gruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio, nel suo intervento per contrastare una legge, che poi ha deciso di votare, aveva esplicitamente dichiarato: “La riduzione del numero dei parlamentari é una pessima riforma, un pasticcio che cambia ben poco e fa invece molto male alla democrazia… Si continua scientificamente con metodo chirurgico a colpire la democrazia rappresentativa per come l’abbiamo conosciuta e per come l’hanno scritta i padri costituenti. Questa iniziativa va infatti letta insieme a un’altra modifica della Costituzione, in discussione, che introduce una procedura rinforzata per l’iniziativa legislativa popolare e il referendum propositivo, che mettono in contrapposizione la volontà popolare e il Parlamento”. Con queste giuste ragioni come abbia fatto il Pd a giustificare il “contrordine compagni” mi pare invero incredibile.

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