L’antipolitica e il caso Del Turco
Innanzitutto non ho mai capito come si possa far politica animati dal suo opposto, cioè dall’antipolitica. Sarebbe come far musica ispirati dall’antimusicalità. O far storia appellandosi all’antistoricità. Un vero ossimoro. Eppure questa cultura da anni ha preso piede. Direi già con gli inizi degli anni novanta, dopo la caduta dei muri e delle ideologie tradizionali, con la conseguente affermazione della Lega.
Che in primis era anche l’affermazione del semi analfabetismo. Con quegli slogan tipicamente da bar come “La lega ce l’ha duro”, e quei cappi che sventolavano in Parlamento. Quel che significava dal punto di vista lessicale, coi barbari leghisti che avevano varcato il confine di Montecitorio, era che il gergo popolare era meglio di quello politico, che lo studio e la cultura erano da gettare nell’immondezzaio e che per governare il Paese era ora di affidarsi ai tanti Cerutti Gino che popolavano i bigliardi metropolitani. La Lega anticipò, forse predisse, l’avvento di Tangentopoli sul quale solo oggi si inizia a svolgere qualche analisi seria, meditata e approfondita. Il carattere esplicito di Mani pulite era di processare un sistema, mettendo però alla gogna soltanto uomini. Anzi, un sistema a metà, gettando alla sbarra alcuni e salvando altri. Una giustizia parziale che era assai peggio dell’ingiustizia generale, perché permetteva a coloro che s’erano macchiati degli stessi reati di salire sul banco dell’accusa contro gli altri. Si era creato un clima irrespirabile che determinava ovunque la convinzione che il finanziamento illecito alla politica fosse perfino peggio del finanziamento ai privati. E in certe acute fasi di sdegno popolare fosse addirittura peggio che uccidere. In fondo le Brigate rosse, in quel periodo Mario Moretti venne anche omaggiato in occasione della sua presenza alla prima della Scala, erano addirittura giudicate più degne. Uccidevano, ma almeno per ideali nobili. La scala dei valori era saltata. Anzi si era capovolta. A tal punto che Di Pietro poteva tranquillamente lasciare la toga per indossare il laticlavio tra gli osanna generali. Berlusconi altro non fu che la risposta alla gioiosa e dipietrista macchina da guerra. Anzi, senza Di Pietro, Berlusconi non sarebbe neppure nato come soggetto politico. I Cinque stelle continuano a sviluppare gli stessi temi della prima Lega bossiana. Con un ingrediente e anche una giustificazione in più, costituita dalla crisi della nuova politica senza identità, senza ideologia. Nata dal “Vaffa day” che fa il paio che “La lega ce l’ha duro”, cioè da uno scurrile grido da retrobottega, il grillismo si é mostrato anche più acido e crudele. Il suo obiettivo di fondo non era la secessione o il federalismo, ma la lotta alla politica, a tutta la politica che non fosse la loro. Come altro interpretare il suo ossessivo e nevrotico assalto ai vitalizi del passato perché incassati da generazioni di uomini e donne che non appartenevano alla casta nobile e dalla moralità superiore dei Cinque stelle? Come interpretare la volontà di non sottrarre un solo euro dai loro stipendi, e naturalmente, e conseguentemente, da quelli degli attuali parlamentari? Come se la loro presenza soltanto potesse garantire un pass di nobiltà d’animo anche agli altri. Quel che accomuna grillismo e leghismo ancièn regime é invece la sublimazione della politica come hobbies e non come professione, tranne che per i diversi che si sono trovati per la prima volta, grazie alla politica, ad avere una professione e uno stipendio. A smorzare qualsiasi professionismo anche solo in abbozzo sta il vincolo dei due mandati. Cioé appena uno di loro inizia a imparare l’attività del parlamentare deve essere mandato a casa. Il parlamento, grazie a loro, concepito come un ente di nominati dalle gerarchie politiche e non eletto dal popolo, non é necessario e può anche essere abolito, come predisse nel 1924 Edmondo Rossoni, il teorizzatore del corporativismo, e come dispose Mussolini nel 1926. Parole e musica di Beppe Grillo. Ma giustificazione di Casaleggio e delle sua democrazia diretta, diretta da lui, come quella piattaforma Rousseau messa, bontà sua, a disposizione del movimento ma proprietà di una srl. Tutto appare oggi senza un briciolo di sentimento. Pietá l’é morta, cantavano i partigiani durante la Resistenza. Come nel caso Del Turco. Solo noi, piccola comunità di resistenti col culto della solidarietà e della libertà, abbiamo protestato, senza udire un minimo cenno di assenso da parte del Pd, partito al quale Ottaviano era iscritto, e dalla Cgil, della quale Del Turco ha scritto la storia. E ce l’abbiamo fatta, perché il suo vitalizio, sottratto a un uomo in punto di morte, é stato ripristinato dalla presidente del Senato Casellati. Noi siamo fatti così. Amiamo la politica e non l’antipolitica, amiamo la cultura e la lingua italiana, odiando il culto della scurrilità e dell’analfabetismo, combattiamo tutte le ingiustizie, anche quelle giudiziarie, e Ottaviano é stato palese vittima di una di queste dopo dieci anni di persecuzioni, e soprattutto sappiamo andare, quando siamo convinti che sia doveroso, anche controcorrente. Alla faccia degli opportunismi di destra e di sinistra. Siamo socialisti italiani e ne siamo fieri.
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