Intervento in Aula sul disegno di legge Bersani
Signor presidente, signori del governo,
credo che tutti dobbiamo dare atto a ministro Bersani di perseveranza. Egli propone qui il terzo atto della sua politica di cosiddette liberalizzazioni e lo fa, per la prima volta, attraverso un disegno di legge. Dunque non gli opporremo il primo dei rimproveri che nelle altre due occasioni gli abbiamo rivolto. E cioè quello dello strumento legislativo adottato, il decreto legge immediatamente operativo, in spregio al potere di intervento delle Camere. Il suo disegno di legge propone, però, nella sostanza lo stesso metodo degli altri due: quello della cosiddetta lenzuolata. Si tratta di un disegno di legge a macchie di leopardo di carattere specifico e senza quella che ormai, forse anche in modo un po’ desueto, si definisce come visione d’insieme. Un progetto riformista di liberalizzazioni viene qui sostituito con interventi specifici su quel che viene denominato “Misure per il cittadino consumatore e per agevolare le attività produttive e commerciali, nonchè in settori di rilevanza nazionale”. Questi ultimi sono i più disparati. Ve n’era anche uno che finiva per modificare l’assetto del ministero dei Beni culturali, poi abolito da un emendamento della stessa maggioranza, e poi varie norme inerenti il ministero della Pubblica istruzione stralciate, contrariamente a quanto era avvenuto nell’ultimo decreto Bersani, che aveva introdotto modifiche alla legge Moratti, stravolgendone una parte significativa. Sono stati poi stralciati i capitoli concernenti le semplificazioni per impiantare nuove imprese, per rispetto dell’iniziativa parlamentare dell’on. Capezzone.
Riconosciamo volentieri al ministro Bersani, uomo di sinistra, di aver voluto fare delle liberalizzazioni, e della difesa del consumatore, la sua ragione di esistere come ministro. Si tratta di una scelta tutt’altro che facile, soprattutto se pensiamo che la sinistra italiana spesso è stata orientata da ben altre parole d’ordine. Un processo di rinnovamento teorico che del resto fa a pugni con altri obiettivi anche recentemente manifestati dalla parte più estrema della coalizione, forse ancora più determinata, dopo l’esito negativo delle elezioni, a far valere il suo peso in senso assistenzialistico. Fa piacere oggi sentire dal segretario dei Ds Piero Fassino che esiste una questione settentrionale. E che questa questione si condensa in cinque punti: problema fiscale, sicurezza, immigrazione, infrastrutture, rinnovamento della politica. Ma, scatto per scatto, appare complicato per questo esecutivo trasformarsi in una sorta di centometrista trattandosi di un governo diviso al suo interno su ognuna di queste cinque questioni e per di più con una risicata maggioranza al Senato, sostenuta coi voti determinanti di alcuni senatori che hanno sfilato sabato al corteo delle sinistra extraparlamentare (alla quale non hanno partecipato neppure Giordano e Diliberto) al grido di “Bush boia” e di “Prodi peggio di Bush”. Sillogismo che certo non può rallegrare il capo del governo, né corroborare la sua reiterata convinzione di durare fino al 2011. Ho richiamato questo perché non vedo un minimo di coerenza, signor ministro, tra la sua vocazione liberalizzatrice e lo stato della sua maggioranza. Lei può anche pensare di essere il re di Prussia, ma senza un impero si finisce per essere ovviamente solo dei re travicelli. Se le faccio un elogio, per la coerenza teorica e per la sua vocazione modernizzatrice, e se le avanzo una obiezione di mancata armonia tra un disegno ambizioso e un governo zoppo e forse in agonia, lo faccio perchè la conosco come una persona che crede in quel che dice e che tenta di fare quel che pensa. Eppure, come lei sa, non sono poche le contraddizioni che più d’un commentare politico ha rivolto al suo progetto. Ho letto recentemente, a proposito di coerenza, una dichiarazione del ministro Padoa Schioppa, che sostiene che le tasse in Italia sono troppo alte. Ma chi le ha elevate, lo Spirito santo? Anche gli uomini con due cognomi dovrebbero sviluppare una sola politica. Ecco, quel che non si può più permettere è di dire cose in contraddizione con quel che si fa. La dissociazione è una malattia italiana della politica e tra le tante riforme che si intendono promuovere quelle della coerenza negli atteggiamenti è forse la più urgente. In un editoriale del “Corriere della sera”Angelo Panebianco, al quale non si può non riconoscere coerenza nella cultura liberalizzatrice dell’economia, si mostrava deluso dei risultati prodotti fin qui e citava le spinte e le controspinte corporative che sono state prodotte in questi mesi, molto più efficaci le ultime delle prime. Basterebbe pensare all’ottimo risultato prodotto dalle serrate dei taxisti, dei quali tanto si è parlato. Personalmente avanzo ancora una critica di metodo. Non c’è dubbio che le spinte corporative vadano combattute. Però occorre anche un minimo di capacità di previsione. Come si fa a colpire indiscriminatamente alcune categorie, penso ai benzinai, ai farmacisti, ai notai, agli avvocati e non accorgersi che, dal loro punto di vista, assolutamente legittimo, queste categorie debbano poi difendersi. E come non accorgersi in anticipo che se vengono abolite alcune strutture e penso al Pra, che serve per alimentare e far viver le nostre Aci, poi migliaia di lavoratori rischiano il loro posto di lavoro, senza sapere oggi cosa dovranno fare domani. Insomma noi, che siamo storicamente decisionisti, che abbiamo contestato per primi la logica della concertazione, che siamo onorati di avere appartenuto ad un partito che in funzione della equa battaglia contro l’inflazione si trovò a dover fronteggiare un referendum conservatore per alcuni punti di scala mobile messo in campo dal partito che fu di Bersani e che dunque tutto era tranne che un partito di liberalizzatori, noi diciamo però che anche queste categorie hanno il sacrosanto diritto di essere consultate, anche perchè non è giusta e nemmeno produttiva una lotta senza quartiere ad alcune parti sociali, accusate di essere corporative sol per il fatto di esistere. Certo, se rifiutano, in nome di una inaccettabile chiusura a riccio, qualsiasi progetto di riforma e di modernizzazione, queste categorie si mettono dalla parte del torto. Noi abbiamo votato a favore della messa sul banco dei supermercati anche dei medicinali di fascia C, per i quali non è previsto il rimborso del Servizio sanitario. Vedo che i farmacisti minacciano una serrata. Ecco, in questo caso ci pare una decisione sbagliata e da combattere. Ma non possiamo metterla sullo stesso piano dei lavoratori dei Pra che per giorni sono stati dinnanzi alla Camera a far valere le loro preoccupazioni. Loro sono seimila dipendenti, non una categoria corporativa.
Dicevo delle osservazioni critiche. Non sono il solo a rilevare che le lenzuolate hanno pregi e difetti. Osserva il ministro Linda Lanzillotta in un’intervista a “La Stampa” di lunedì 11 giugno: “Ci vuole una riflessione sulle procedure parlamentari. E forse anche sulla tecnica dello Zibaldone”. La Lanzillotta chiama così i provvedimenti Bersani e aggiunge: “Hanno pregi e difetti. La legge dei grandi numeri fa sì che su cento proposte una parte passino, ma a perderci è la visione d’insieme. La logica della mediazione fa saltare alcune norme, spesso le più importanti. Meglio puntare sui singoli provvedimenti”. Bè, non è una critica da poco, signor ministro, e se mi ascolta le richiamo un altro passaggio della ministra: “E’ evidente che se non facciamo uno scatto (lo scatto, fassiniano forse) su questo punto delle liberalizzazioni ne pagheranno un prezzo altissimo il governo e il Partito democratico”. Una paura, una minaccia? Non saprei. Certo sarebbe opportuno che vi metteste d’accordo, non tanto sullo scatto, ma sulla partenza. Adesso, dopo che i notai hanno fatto muro sulla norma che avrebbe dovuto sottrarre loro le compravendite sotto i centomila euro, dopo le note vicende dei taxisti e del Pra e mentre le Regioni prendono provvedimenti sulla questione dei benzinai che affossano la riforma, mentre un emendamento dei verdi proroga fino alla riforma gli affidamenti dei servizi idrici ai privati, le potrei domandare parafrasando il titolo di una vecchia e bella canzone di Charles Trenet: “Que reste t’il?”. Che cosa resta di questo proposito liberalizzatore? E come mai questa procedura che si compendia di tre parti (l’annuncio, la protesta e la mediazione) porta poi spesso ad annullare i propositi iniziali. Non è che si è scelto di proposito di promuovere attraverso le lenzuolate dei provvedimenti solo propagandistici, che poi non diventano leggi? D’altronde proprio ieri l’on Fassino ha avuto modo in Tv di notare come sui mass media contino assai di più gli annunci di leggi che non le leggi approvate. L’informazione dà spesso più ampio risalto ai disegni di legge emanati dal governo, che sono davvero pochi, che non della loro approvazione da parte del Parlamento. E’ vero. E dunque la tecnica delle lenzuolate può servire. Ma solo a scopo propagandistico, non per cambiare davvero le cose. Essendo questo un disegno di legge, si può prestare bene a questa osservazione. Tanto è vero che quel che resta di questo disegno di legge dopo le modifiche apportate in commissione, gli emendamenti approvati e le parti stralciate, è davvero poca cosa. Forse, signor ministro, anzichè una lenzuolata, sarebbe opportuno e anche più produttivo, portare disegni di legge di settore, magari discussi anche con l’opposizione. Possibile che dopo mesi sul disegno di legge sui servizi pubblici locali, il vero potenziale disegno di legge delle liberalizzazioni, bè, si debba prendere atto che nel governo, lo ha ricordato la ministra Lanzillotta, si è trovato un punto di mediazione accettabile e cioè che se c’è l’affidamento di un servizio deve esserci una gara? Ma questa è la scoperta dell’acqua calda. Se la maggioranza ha una sua posizione chiara e univoca, ma sappiamo bene che non è così, porti anche disegni di legge a scatola chiusa e se li voti. E io le aggiungo, che almeno per quel che mi riguarda, se saranno davvero innovatori e liberalizzatori, anche senza concertarli li voterò. Cosa che non potrò fare e non potremo fare per questo terzo atto della Bersani-history E’ troppo poco convincente, troppo poco incisiva, troppo poco efficace. Troppo poco.