Tra doppiopesisti e arrendisti
Ma se chiedi loro: “Ma allora eravate contrari anche all’uso della violenza durante la Resistenza, alla rivoluzione cubana e alla guerriglia del Che in America latina?”, allora arricciano il naso, si danno una sistematina agli occhiali, aggrottano le ciglia e ti rispondono che era diverso e via con le condizioni e le analisi, che poi attenuano di molto anche le loro crisi di coscienza. Sono questi, di destra o di sinistra, che protestano per la decisione del sindaco Sala di pretendere da Valery Gergiev, un grande direttore, di condannare Putin o, in assenza della condanna, di lasciare la direzione de La dama di picche di Ciaikovskiy. Ho forti perplessità anch’io sulla decisione del sindaco di Milano. Ma gli intellettuali, eccoli a protestare in nome del sacro principio dell’autonomia della cultura, che dovrebbe però valere sempre. Si ricordano costoro le discriminazioni del maestro Furvangler, accusato di essere stato anche in combutta con Hitler? Valeva anche per lui il sacro principio dell’autonomia della cultura nel 1945? Ci pensano bene prima di risponderti, e via ancora con i tempi che erano diversi e le condizioni oggettive e soggettive e altre panzane. I doppiopesisti basta poco per metterli in difficoltà. Ma loro continuano imperterriti a darci lezioni. Lezioni morali, lezioni sui principi, quando le loro sono solo valutazioni politiche. E i principi vanno spesso a farsi benedire. Non posso dire che abbiano un debole per Putin. ci mancherebbe. Capiscono anche loro che Putin non é Lenin e neanche Gorbaciov. E che se c’é un sistema retto con principi di destra é oggi quello russo: capitalismo che arricchisce a dismisura dieci o venti oligarchi e tiene nella miseria il popolo, nazionalismo sfrenato, regole illiberali e oggi francamente poliziesche della vita interna. Capisco di più una debolezza di destra che di sinistra. Quello che resiste nei doppiopesisti é la contestazione della civiltà occidentale, quel masochismo farisaico che spinge anche il leader cinese a ritenere l’occidente in una crisi irreversibile di “decadenza” della quale l’Oriente può approfittare. Paolo Mieli lo ha opportunamente ricordato e oggi Federico Fubini annota sul Corriere che da questa guerra (l’Onu vuole che la si definisca “conflitto”, testimonianza di una sua crisi non solo lessicale, ma politica) é emersa una nuova e piena solidarietà tra le nazioni europee e tra queste e l’alleato americano. E quindi, sostiene paradossalmente Fubini, può essere che dal male possa nascere un bene. E cioè che l‘Occidente, difendendo in tutti i modi i suoi valori di libertà, dimostri di non essere per nulla in condizioni di decadenza. Ma mi danno fastidio oggi anche gli arrendisti. Una nuova categoria che pare stia lievitando. Questi ragionano più o meno così: visto che con ogni probabilità, dato il divario delle forze in campo, l’Ucraina é destinata a soccombere, perché Zelensky non firma la resa evitando così un numero maggiore di morti? Se non lo fa si porta sulle sua spalle la responsabilità di futuri massacri. Questa assurda eterogenesi del fini, o meglio realtà capovolta, patrocinata da Vittorio Feltri, ma anche da Belpietro e da altri, non solo delegittima il coraggio dei resistenti ma attribuisce addirittura a loro la responsabilità della continuazione del conflitto. Meglio dunque la viltà del coraggio perché la viltà porta pace e il coraggio porta morte. Se questo principio valesse sempre allora l’unica legge mondiale alla quale dovremmo rassegnarci é quella del più forte. Il più debole deve soggiacere al più forte. Non deve ribellarsi mai perché il più forte poi schiaccia il più debole. E sono guai. Intanto non sta scritto in nessun libro del futuro come si evolverà questa guerra. Finora grazie alla resistenza Putin si trova a dover ammettere di aver sbagliato tutti i suoi calcoli. Tanto che un negoziato oggi potrebbe perfino partire, cosa dirà Lavrov in Turchia non é dato saperlo, da posizioni diverse rispetto a quelle di partenza. Ad ogni modo saranno gli ucraini a decidere il loro futuro. E soprattutto il loro presente. Se ritengono, come é oggi evidente, di combattere per difendere la loro terra, noi dovremmo dissuaderli e indurli alla resa? O piuttosto sostenerli nella convinzione che in Ucraina, come in Spagna nel 1936-39, si combatte anche per noi, per la nostra libertà?
Leave your response!