Con Macron, con l’Europa, con l’Occidente
Primo turno delle presidenziali in Francia: si annuncia un testa a testa tra Macron e la Le Pen, che poi, come implicito nel sistema a doppio turno, dovrebbe favorire il presidente uscente nel ballottaggio. Credo che i francesi comprendano bene le conseguenze, non solo per la Francia, ma per l’Europa e il mondo, del loro Se prevarrà Macron potrà svilupparsi quel processo che porta agli Stati uniti d’Europa del quale il presidente francese sarebbe un titolato candidato presidente. Se prevalesse la Le Pen prevarrebbe il nazionalismo, l’ostilità verso l’Europa, una politica estera più autonoma dalla Nato, una esplicita connivenza con l’altro fronte: quello xi-putiniano. Che la collocazione di Macron, un liberalsocialista, gia ministro del governo Hollande, sia quella più consona per interpretate il futuro dell’Europa, non può che far piacere a vecchi dirigenti di un partito, il Psi, che per primo aveva svoltato, già negli anni ottanta, su quella posizione, poi fatta propria dallo stesso Tony Blair. Resta il fatto che un’intesa coi popolari, come avvenne in Italia con la Dc, si rivela oggi essenziale. Il modo col quale Ursula von der Leyen sta guidando la commissione, basterebbe il coraggioso viaggio tra le macerie e i cadaveri di Bucha, meritano un plauso e non solo un apprezzamento. L’incontro tra socialisti e popolari potrebbe trovare nel presidente francese una felice sintesi. Che il processo di unità europea abbia trovato nuovi slanci é provato dall’unanimità dei vari stati sulle sanzioni (e non era per nulla semplice) e sull’invio delle armi. La guerra in Ucraina segna un nuovo capitolo delle relazioni internazionali configurandosi come l’inizio del nuovo bipolarismo. Appare evidente che sia la Cina a guidare quello contrapposto all’Occidente, con la Russia nelle funzioni del gregario, assieme alla Corea del nord, forse all’India, alla Libia e alla Siria. Si tratta di un polo molto forte economicamente ma, almeno per ora, non altrettanto forte militarmente. Ispirato dalla sensazione diffusa di una crisi anche irreversibile dell’Occidente, una crisi di sfiducia, come testimoniato dall’esito bellico In Afghanistan, ma anche una crisi economica (cogli Usa all’8% di inflazione e con quasi la metà del suo debito in mano ai cinesi che si stanno comprando mezza Africa) e con l’Europa alle prese con la questione del reperimento delle materie prime e di un mercato bloccato ad Est) e sociale, col lavoro per i giovani che sfugge e con l’idea che le nuove generazioni siano condannate a stare peggio delle precedenti. L’Occidente deve vincere la sfida. Che sarà soprattutto sfida di modelli e comporterà la dimostrazione che la società liberale, i suoi valori che dipendono dalla triade scolpita dalla rivoluzione francese, unite alle conquiste di giustizia del secolo socialdemocratico, saranno meglio in condizione degli stati tirannici o autocratici di far vivere le loro popolazioni. E’ una sfida molto difficile che impone agli europei di unire subito i loro destini (Orban faccia quel che crede) e agli Usa di dimostrarsi quelli che sono stati nella lotta al nazismo. Difensori della libertà e anche in condizione di aiutare concretamente le nazioni che si trovavano in maggiore difficoltà. Ieri in funzione anticomunista, oggi in funzione liberale.
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