Intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano e rafforzamento del contingente militare italiano nella missione UNIFIL
(A.C. 1608); 26-9-2006 Esame articoli
Signor Presidente, viceministro degli affari esteri Intini,
il Nuovo Partito Socialista e la Democrazia Cristiana voteranno a favore sulla conversione in legge del decreto che disciplina e finanzia la missione italiana in Libano.
Devo precisare che non abbiamo mai avuto dubbi a tale proposito. Non ne abbiamo avuti sulla doverosità di un atto adottato in coerenza con la risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, che comporta anche per l’Italia una chiara assunzione di responsabilità. Non solo. Apprezziamo il cosiddetto passaggio dall’unilateralismo al multilateralismo – la soluzione di quel contrasto che si era verificato anche tra gli Stati europei sulla partecipazione alla guerra in Iraq -, anche se non tutti i paesi che hanno approvato la citata risoluzione n. 1701 partecipano, poi, direttamente all’impresa militare.
Devo anche aggiungere che il Governo italiano, l’Italia, sullo scenario internazionale deve essere conseguente con tale atteggiamento attivo perché in alcune regioni del mondo si vanno perpetrando genocidi terrificanti. È il caso del Darfur, che cito, signor ministro degli affari esteri, perché si tratta dell’Africa, ovvero di una regione per la quale la comunità internazionale può e deve assumersi una responsabilità senza altre ragioni, vere o presunte, che non siano quelle di carattere umanitario.
La risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, certo, rivela una contraddizione politica, nel senso che una precedente risoluzione dell’ONU dichiarava la necessità del disarmo degli hezbollah del Libano mentre quella attuale, la n. 1701, non attribuisce alle missioni ONU tale compito; compito che invece attribuisce – ho ascoltato a tale proposito le parole pronunciate in proposito dal ministro degli affari esteri – al Governo libanese, all’interno del quale, però, siedono alcuni ministri di Hezbollah. Quindi, è un po’ come attribuire a Hezbollah il compito di disarmare se stesso.
Certo, sono rimasto impressionato anch’io dalla moltitudine di popolo che ha partecipato recentemente alla manifestazione indetta per santificare Nasrallah a Beirut. Sono anch’io preoccupato che la popolarità degli hezbollah in Libano, anziché decrescere, cresca a dismisura.
In questo modo, crescerebbe l’onda del conflitto mediorientale ed anche di quello tra alcuni paesi arabi, tra l’estremismo islamico e l’Occidente, che è non solo un conflitto di carattere culturale e religioso ma anche di carattere militare, come i non lontani atti di terrorismo ci ricordano.
Ritengo che il collega Ranieri abbia fatto bene, nella sua apprezzabile relazione, ad individuare con correttezza le cause del conflitto israeliano-libanese. Egli ha giustamente ricordato come la causa scatenante il conflitto sia stato l’attentato promosso dagli stessi hezbollah, che ha portato all’uccisione di tre israeliani ed alla cattura di altri due, proprio mentre il premier israeliano Olmert stava programmando il ritiro dalla Cisgiordania, dopo che il suo predecessore Sharon aveva realizzato il ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, creando non pochi problemi di carattere personale e familiare ai numerosi coloni israeliani che la popolavano da anni.
Certo, non posso non sottolineare come l’ansia ed il dibattito intenso, determinatosi all’interno di alcune parti della maggioranza a proposito della missione in Afghanistan (la quale ha le stesse caratteristiche di quella che oggi stiamo esaminando, essendo stata promossa dall’ONU), non si siano registrati né ieri né oggi in Assemblea a proposito della missione in Libano. Anch’io mi sono chiesto quale sia la differenza tra le due missioni e perché vi sia un atteggiamento diverso da parte delle forze politiche della sinistra radicale che compongono la maggioranza. Ho trovato una sola differenza, che mi sembra sostanziale, che ha promosso una diversità di atteggiamento: manca, nella missione in Libano, la presenza degli Stati Uniti. Allora, bisognerebbe ricordare a coloro che hanno questa diversità di approccio alle missioni internazionali, a seconda che vi partecipino direttamente o meno gli Stati Uniti d’America, che l’Italia è un paese della NATO, che ha accettato il Patto atlantico, che non può – credo – «chiamarsi fuori», come ha ripetuto più volte lo stesso ministro degli affari esteri, Massimo D’Alema, dai suoi impegni internazionali né può giudicare la presenza del proprio alleato come una discriminante per evitare di partecipare ad azioni militari.
Vorrei che fosse ben presente, signor Presidente, signor ministro degli affari esteri, colleghi deputati, che con l’11 settembre ha avuto inizio una fase storica nuova (lo ha ricordato spesso il premier britannico Tony Blair), in cui il terrorismo è diventato un pericolo di carattere globale, in cui tra le tante globalizzazioni si è verificata anche quella del fenomeno terroristico. Quindi, è giusto che ogni paese (lo ricordava Gordon Brown, il probabile successore di Blair, proprio ieri) si assuma le proprie responsabilità, a fronte della guerra che il terrorismo di stampo islamico ha scatenato nei confronti, non solo, dell’Occidente ma, in prima battuta, proprio dei Governi e delle popolazioni arabe, che sono le prime vittime delle iniziative terroristiche dell’islamismo estremo.
Non possiamo, inoltre, non ricordare che la missione italiana in Iraq (lo dico rivolgendomi ad un collega del gruppo dell’Ulivo che ha parlato prima di me) non è stata promossa al di fuori delle regole e delle disposizioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Mi chiedo anche, visto che un collega dell’Ulivo ha concluso il proprio intervento dicendo di essere a favore della missione in Libano proprio “perché siamo stati contrari alla missione in Iraq”, quale contrasto vi sia tra le due missioni. Io non vedo contrasti, ma trovo una contraddizione in questa affermazione, perché entrambe le missioni sono state determinate da risoluzioni delle Nazioni Unite.
Penso sia un fatto importante che il Parlamento della Repubblica italiana nel suo complesso abbia trovato un punto di intesa in ordine a tale missione, anche se nessuno è vergine rispetto alle missioni internazionali svolte al di fuori delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Non solo la guerra in Iraq si è svolta al di fuori del contesto delle Nazioni Unite con un atto unilaterale degli Stati Uniti d’America e della Gran Bretagna, ma anche la guerra in Kosovo, peraltro accettata ed in qualche misura promossa da un Governo di centrosinistra, si svolse nell’ambito dell’organizzazione della NATO e non delle Nazioni Unite.
Nessuno a tale riguardo è vergine ed è bene che si evitino espressioni del tipo «svolta storica» o frasi del tipo «finalmente la parola è stata restituita alla politica», come se prima vi fosse stata una terra di nessuno o vi fossero stati al Governo di questo paese i guerrafondai! Non mi sembra francamente giusto.
Credo che dobbiamo evitare anche una certa retorica patriottica che è risuonata in qualche dichiarazione giornalistica da parte di qualche ministro, non dell’onorevole D’Alema, devo dire la verità, ma di altri ministri ed anche del Presidente del Consiglio, che ricordava, a me che mi occupo di storia, una vecchia frase del poeta Giovanni Pascoli nel 1911, a proposito della guerra in Libia, del seguente tenore: «Finalmente la grande proletaria si è mossa».
Evitiamo frasi del tipo: «svolta storica» o «ruolo determinante dell’Italia nella regione mediorientale». Evitiamo insomma quella retorica che ci spinge a non vedere, invece, i rischi reali della missione con l’alto numero di soldati che inviamo in questa terra di guerra. I rischi sono certamente alti, e certo non meno alti rispetto a quelli paventati in ordine ad altre missioni che, pure, sono state contrastate da una parte della sinistra italiana.
Vorrei ricordare anche i tanti soldati che partecipano alla missione, spendendo parole di apprezzamento e di fraterna solidarietà per tutti i militari italiani impiegati in Libano, una solidarietà che estendo a coloro che sono impiegati in tutte le missioni di pace nel mondo, ovunque essi siano (dobbiamo ricordare che l’Italia, al di là dei diversi Governi che si sono succeduti, ha impiegato e sta impiegando nel mondo diverse migliaia di militari, nessuno dei quali in azioni di guerra, ma tutti impegnati in azioni di pace) ed a tutte le missioni italiane cui credo vada data la solidarietà del Parlamento e della Repubblica italiana.
Per concludere, vorrei esprimere una considerazione sul conflitto religioso del quale abbiamo preso atto, leggendo attentamente i giornali ed ascoltando la televisione.
Tale conflitto va evitato. Ha fatto bene il Pontefice ad assumere un ruolo di continuità con il suo predecessore, Giovanni Paolo II, ribadendo la volontà della Chiesa cattolica di promuovere il dialogo con le altre religioni. La Chiesa cattolica oggi mi pare sempre di più attestata su una posizione di massima laicità e di rispetto per tutte le religioni e le opinioni.
Questo alto ruolo di laicità, di libertà e di tolleranza non si respira allo stesso modo in quella parte del mondo, soprattutto in alcuni paesi arabi ed in certi movimenti religiosi integralisti. Mi viene in mente – lo dico come laico, come socialista e liberale – una bella frase di Turati. In un congresso del 1912, a proposito di una frazione a lui ostile, disse: «Noi apparteniamo ad un’eresia e dobbiamo comprendere tutte le eresie». Noi apparteniamo ad una cultura liberale: dobbiamo esaltarla e difenderla a fronte di attacchi ispirati ad una cieca intolleranza!
Signor Presidente, preannunziando l’espressione del voto favorevole alla conversione in legge del decreto-legge in esame, partecipiamo con piacere a questo atto di unione della Camera dei deputati, ma non rinunciamo a sottolineare le nostre opinioni su questa missione e sulle altre che l’hanno preceduta (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)