Franceschini, la Schlein e i 5 Stelle
Arturo Parisi, già braccio destro di Prodi e fondatore dell’Ulivo, ne ha detta un’altra delle sue: “Due democristiani (Letta e Franceschini) vogliono rifare il Pci”. Non sarà esattamente così, ma la battuta coglie il paradosso esistente oggi ai vertici del Pd ove, per risentimenti personali o per opportunismo, non credo proprio per convinzione, i due leader che provengono dalla Balena bianca appoggiano l’esponente più radicale del partito contrapponendosi a quello più moderato. Franceschini, leader dell’area dem del Pd (personalmente non ho mai capito cosa proponga di diverso rispetto alle altre, ma dicono raccolga molto consenso nei vertici) ha illustrato la sua scelta in un’intervista rilasciata quest’oggi al Corriere. La motivazione di fondo addotta da Franceschini é che l’epoca in cui siamo piombati (dopo la pandemia) induce sempre più alla radicalità e che al Pd serva una discontinuità e una leader come la Schlein che la sappia interpretare. Bando allora (c’é da crederci?) alla sua generazione, dei sessantenni, e dunque anche a Bonaccini, che di anni ne ha solo 55, e avanti i giovani. Poi la Schlein avrebbe, secondo lui, un altro pregio, quello di saper dialogare coi Cinque stelle in una sorta di rapporto di collaborazione e competizione insieme. Mi permetto di svolgere le seguenti osservazioni. Ammesso e non concesso che la fase che stiamo vivendo induca a soluzioni estreme, il problema non é adeguarsi ad essa, ma esternare analisi e proposte in grado di fronteggiarla. Se Turati, dopo la rivoluzione del 1917, avesse ragionato come Franceschini oggi, allora avrebbe dovuto diventare un filo bolscevico. La politica non é e non può diventare un “inseguir le mode”. Non é un prodotto da vendere sul mercato cavalcandone gli umori. Ma é pensiero, anche originale, che tende a modificare quello degli altri attraverso l’azione. Altrimenti diviene opportunismo. “Se la fase induce ad atteggiamenti estremistici divento un estremista anch’io”, si dovrebbe concludere, con un atteggiamento di totale appiattimento a quel che pare essere il sentire dominante. Io ero riformista nel 1968, in netta minoranza tra la mia generazione, ma orgoglioso oggi di aver avuto ragione. Poi che il Pd abbia bisogno di discontinuità é chiaro. Dipende da che parte si indirizza lo strappo. Non sto qui a parlare di destra o sinistra, categorie ormai quasi superate (Franceschini ritiene che con la leadership di Conte i 5Stelle siano diventati un partito di sinistra e non lo motiva). Prendiamo quattro contenuti della politica: la guerra in Ucraina, la riforma della giustizia, il taglio dei parlamentari e il reddito di cittadinanza. Cos’é che deve unire Pd e Cinque stelle? Come é già avvenuto in occasione della legge costituzionale sul taglio dei parlamentari, la subalternità al partito di Conte sul diniego alle armi alla resistenza ucraina, la contestazione che, agli ordini del giornale di Travaglio, viene lanciata al progetto della riforma liberale di Nordio e una difesa a riccio di una rendita statale più o meno a vita anche per chi può lavorare? Se questo é il progetto del Pd franceschiniano mi permetto di definirlo più opportunisticamente opportunista che radicale. L’idea di far divenire il Pd un “Cinque stelle bis” non porterebbe fortuna a quel partito. E non solo perché l’originale, come si dice, é sempre meglio della copia, ma perché a far la copia dei Cinque stelle molti riformisti non ci starebbero certo.
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