Quando il tifo é una malattia
Ancora scontri violenti tra bande di falsi tifosi. E proprio nell’area in cui trovò la morte Gabriele Sandri, il tifoso laziale che stava viaggiando alla volta di Milano. E’ dunque assai credibile che quel luogo sia stato scelto non a caso per una resa dei conti. Alla banda di napoletani forse era ancora fonte di ritorsione e di vendetta la morte di Ciro Esposito. Più che il modello inglese, che in questi casi non c’entra proprio nulla, bisognerebbe finalmente non ispirarsi al modello italiano. Quest’ultimo consente spesso di farla franca ai singoli stabilendo responsabilità collettive. La magistratura ordinaria colpisca i responsabili. Quella sportiva inibisca per ciascuno di loro un veto tassativo all’ingresso negli stadi. Per troppo tempo le autorità competenti hanno fatto finta di non vedere. Solo in Italia ci sono biglietti nominativi e posti tutti numerati. La verità é che ci sono aree intangibili e nelle curve nessuno impone nulla a nessuno per paura. Si é stabilita l’assurda norma di perseguitare il debole, cioè lo spettatore pacifico che deve restare al proprio posto o essere oggetto della indiscriminata chiusura del proprio settore senza avere alcuna responsabilità di un accaduto, e di tutelare i forti, cioè gli Ultras e i vari soggetti del tifo organizzato, che non vengono minimamente vigilati e che possono fare ciò che vogliono. Al massimo devono subire, al pari degli innocenti, una giornata di squalifica della loro curva. Basta col modello della responsabilità generale e dell’impunità personale. Gli stadi siano ripuliti di questa teppaglia. Le autorita preposte, con tutte le attrezzature di cui dispongono oggi, non possono non riconoscere i violenti. In Inghilterra se un tifoso getta in campo un oggetto viene arrestato. In Italia si preferisce costruire recinzioni più alte.
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