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Il mistero di Berlinguer

20 Dicembre 2023 235 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Nessuno nega il diritto al rispetto del proprio passato. E men che meno al simpatico Sposetti presidente della Fondazione che detiene l’eredità, non solo politica, del Pci si può negare il diritto di organizzare una documentata e interessante mostra fotografica su Enrico Berlinguer. Che ci fossero Bassolino e D’Alema é assolutamente logico essendo i due di quella storia naturale espressione. Non é stata segnalata, ma probabilmente c’era, la presenza di Walter Veltroni che “comunista non é mai stato”. Stona invece la partecipazione di Elly Schlein, se non in segno di curiosità. Quando Occhetto chiuse quella storia, che si era già chiusa col crollo dei regimi comunisti e la caduta del muro di Berlino, Elly aveva solo quattro anni e suo nonno era militante ed ex senatore del Psi di Milano. Ma dubito che se l’Associazione Socialismo di Gennaro Acquaviva organizzasse una mostra su Craxi Elly sarebbe in prima fila. Sposetti sì, magari Sposetti ci sarebbe, ma Elly non credo. Ad ogni modo partiamo dai meriti di Berlinguer. Certamente lo strappo dall’Urss che avvenne nel 1981 a seguito del colpo di stato in Polonia di Jaruzelsky, la sua precedente convinzione che il modello sovietico fosse criticabile perché privo di libertà e di pluralismo, il realismo dimostrato (soprattutto da Lama e dalla Cgil) a fronte della crisi del 73, la moderazione (che era già stata di Togliatti nei confronti dei governi ciellenisti) nella maggioranza di unità nazionale, la cosiddetta fermezza di fronte al terrorismo, l’eurocomunismo e se.si vuole la terza via. Già queste ultime due (lascio perdere la fermezza perché ci porterebbe lontano) sono però tesi contestabili, giacché l’eurocomunismo si limitava al rapporto tra il Pci e il piccolo partito spagnolo di Santiago Carrillo (il francese Marchais era filo sovietico) e la terza via tra comunismo e socialdemocrazia era un’araba fenice. Certo Berlinguer fu un uomo coraggioso e a suo modo eretico se come appare più che probabile il grave incidente d’auto avvenuto in Bulgaria non sia stato affatto casuale. E come quando confessò di sentirsi più sicuro sotto la protezione della Nato che non con quella del Patto di Varsavia. Gli echi di Nagy e di Dubcek risuonavano alla memoria. Dopo il colpo di stato in Cile elaborò la strategia del compromesso storico. La sinistra non poteva governare solo col 51%. Serviva una coalizione ampia, che coinvolgesse anche la Dc. Era esattamente quel che pensava Togliatti che al muro contro muro del 1948 fu trascinato da Nenni. Sbagliava perché pensava a una sinistra a egemonia comunista come quella italiana giacché in tutta Europa una sinistra socialdemocratica governava serenamente anche con meno del 51%. In fondo il suo errore fu questo. E cioè di non anticipare la svolta di Occhetto del 1989. Se Berlinguer aveva rotto col comunismo perché continuava ad essere comunista? Sarebbe stata più credibile la svolta perché non avrebbe seguito il crollo del comunismo in tutta Europa, ma l’avrebbe anticipato. Poteva anche rilanciare la vecchia idea di Amendola del Partito del lavoro. Ma in fondo Berlinguer, nonostante un padre per anni senatore del Psi, socialista o socialdemocratico proprio non si sentiva. Ricordo un’intervista di Minoli nel 1981 quando rispose alla domanda a quale personalità si sentisse più vicino e lui disse dopo averci pensato un po’ “Forse a Tito e a Ho chi min”. Non a Willy Brandt, non a Mitterand. Ma a due dittatori per quanto illustri. Li preferiva ai socialisti anche quando aveva compiuto lo strappo dall’Urss in nome della libertà. Un mistero che resta tuttora aperto nella lettura della storia di Enrico Berlinguer.

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