Non rassegnarsi al bipolarismo
Dopo Costa anche la Gelmini e la Carfagna hanno salutato Calenda. Così come Marattin ha dato l’addio a Renzi. E non solo i soli. Il problema sventagliato da tutti costoro é che sia Renzi che Calenda si appresterebbero ad aderire al cosiddetto campo largo. L’hanno fatto nelle tre regioni in cui si vota: Emilia-Romagna, Umbria e Liguria. Renzi, per la verità, si é già dichiarato disponibile a far parte della coalizione comprendente i Cinque stelle e Verdi e Sinistra italiana all’insegna dello slogan da teatrino di periferia: “servono voti e non veti”. E quelli per la verità hanno subito alzato un veto contro di lui, mentre Calenda, per ora, distingue le alleanze regionali da quelle nazionali e per bocca di Rosato insiste nella necessità di creare un centro riformista non alleato con nessuno dei due poli. La politica italiana é spesso involuta e contraddittoria. Se Calenda non ha intenzione di aderire al campo largo perché Costa, Gelmini e Carfagna lasciano Azione? Più giustificata é la scelta di Marattin visto che Renzi quella scelta ha compiuto. Si badi bene. I due partiti non scelgono sulla base di mandati congressuali, come i rimpianti partiti di una volta, ma sull’onda degli umori dei loro leader. Dopo le elezioni europee entrambi i comandanti avevano manifestato la disponibilità a farsi da parte e a celebrare regolari congressi. Passata l’estate e sulla scia delle feste di partito e coi primi freddi di un settembre quanto mai rigido, tali intenzioni paiono decisamente sfumate. Il fatto però é che, a parte la mancata contendibilità dei leader, come chiedevano in una lettera appello Costa e Marattin, al momento i tre fuoriusciti da Azione ritengono che forse, che in futuro, che alle prossime politiche, anche Calenda cederà alla logica del bipolarismo. E per contestarlo invece di sfidarlo sul terzo polo aderiscono essi stessi a uno dei due poli. Si tratta di una scelta poco comprensibile. Forse perché, come rilevano in tanti, il terzo polo é morto. Il funerale di un polo alternativo agli altri due é sempre stato celebrato e poi regolarmente smentito dai risultati elettorali che hanno sempre rivelato esattamente il contrario. Nel 1994 non c’era spazio, era l’epoca dell’avvio del maggioritario e del bipolarismo, ma il Patto Segni che comprendeva Il Ppi, Giuliano Amato e Giorgio La Malfa ottenne il 18% (poi é vero la logica ferrea del Mattarellum, con i 3/4 di collegi uninominali, lo penalizzò). Fuori dal bipolarismo si collocò poi la Lega nel 1996 e sfiorò il 10% presentandosi solo al Nord (il suo più grande successo), nel 2001 i partiti non coalizzati (Rifondazione, Lista Bonino, Democrazia europea e Italia dei valori) conquistarono, sommando insieme i risultati di ciascuno, oltre il 13%, nel 2006 si coalizzarono tutti (si votò col Porcellum con premio di maggioranza per la prima coalizione), ma non vinse nessuno e Prodi fu costretto, per la disomogeneità della sua risicata maggioranza che andava da Mastella a Bertinotti, a dimettersi dopo soli due anni, nel 2008 diverse liste si presentarono contro il bipolarismo (l’Udc di Casini, la Sinistra Arcobaleno, il Psi, la Destra fiamma tricolore) e sia pur in modo disomogeneo (Casini conquistò da solo il 5,8%) i voti di quelle liste ammontarono a una percentuale di circa il 12%. I Cinque stelle hanno poi decisamente spezzato il bipolarismo. Nel 2013, col Rosatellum, l’aggressivo sarcasmo di Grillo portò i due poli al minimo storico, conquistando il 25%, a cui deve aggiungersi il 10% di Monti nonché le percentuali minori di altri. Dunque i due poli tradizionali sommati insieme non raggiunsero il 60%. I governi furono di unità nazionale, di centro-sinistra col Nuovo centro-destra presieduto da Letta, poi da Renzi e infine da Gentiloni. Ancor peggio le elezioni del 2018 con lo sfondamento dei Cinque stelle a quasi il 33%, primo partito italiano, percentuale equivalente a quello delle due coalizioni e con governi di centro-destra e di centro-sinistra e di unità nazionale con Draghi (sempre partecipati dai Cinque stelle). Ultimo giro, quello stravinto dalla Meloni nel 2023, con la lista Renzi-Calenda all’8%. E con altre liste non coalizzate la somma supera il 10%. Nonostante ciò si é celebrata la fine di un terzo polo e la vittoria di un bipolarismo che non ha quasi mai vinto e certo non é stato in grado di garantire governabilità. Andrò contro corrente ma dico che questo è il momento di contestare il bipolarismo forzato e non di sposarlo. Di dimostrare che questa é la malattia e non la medicina della politica italiana. Assuefarsi ad esso significa essere complici della decadenza dell’Italia.
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