I cento anni della Ferrovia Reggio-Ciano, costruita dai socialisti. La relazione di Del Bue al convegno di sabato 9 ottobre
Desidero innanzitutto porgere un saluto affettuoso a tutti i partecipanti a un’iniziativa che ho collaborato a promuovere. Se un promotore non può essere presente non è per futili motivi. Sono reduce da due interventi chirurgici e sono già stato dimesso. Sto bene, tanto bene da capire che non posso permettermi di forzare e di considerarmi ancora in forma fisica e in condizione di partecipare allo storico viaggio Reggio-Ciano, con il treno che i lavoratori reggiani scelsero all’inizio del novecento a simbolo della loro emancipazione e della loro forza. Mi dispiace molto non avere potuto vivere con voi le emozioni d’un viaggio che non ho fatto mai. Della ferrovia Reggio-Ciano si cominciò a parlare già nel 1878 “quando un opuscolo si pose il problema di un sistema per le linee di interesse locale con un binario a lato delle strade comuni con l’applicazione del vapore”. In seguito, nel 1886, si propone ufficialmente la tramvia Reggio-Ciano, sfidando le ferrovie dei due vicini ducati. Quello di Parma in particolare, che già aveva sottratto a Reggio la ferrovia Reggio-Lucca-La Spezia, facendosi preferire la sua Parma-La Spezia, forse convicendo Cavour con mezzi non solo gastronomici. Reggio rispose attraverso appunto la Reggio-Ciano, per permettere il trasporto di gente e merci in una zona che, tra la Val d’Enza reggiana e quella parmigiana, poteva contare su un bacino d’utenza di circa 70mila persone. Il tema di sottrarre all’influenza parmense i comuni della Val d’Enza, zona tradizionale del formaggio reggiano, oltre all’idea di collegare la città e la montagna, attraverso l’eventuale collegamento con Castelnovo Monti, era una motivazione forte per la costruzione della ferrovia. La questione della ferrovia fu posta per la prima volta ufficialmente nel 1899, grazie a un progetto presentato il 26 dicembre dall’ingegnere Alfredo Benassi, stretto collaboratore di Giuseppe Menada, l’uomo che portò a Reggio le ferrovie (erano già state edificate allora la Reggio-Scandiano-Sassuolo e la Reggio-Novellara, Guastalla, con deviazione per Correggio e Carpi). Il progetto non prevedeva il prolungamento della ferrovia fino a Montecchio e questo costituirà un problema che verrà poi risolto positivamente. Anche perché a Parma si ultimava la linea tramviaria che collegava la città a Traversetolo e da qui a Montecchio. Da qui il migliore e più facile collegamento della zona di Montecchio con Parma, raggiungibile da un mezzo con tre carrozze a partire dal 6 ottobre del 1901. Montecchio, forse perchè voleva rimanere reggiana, preparò una sua proposta, diversa da quella del progettista Benassi, meno costosa e più razionale, perché eliminava l’attraversamento di Reggio e il collegamento della nuova ferrovia con la Reggio-Sassuolo, ma vi includeva appunto la deviazione fino a Montecchio. I socialisti abbracciarono la causa del Comune di Montecchio che, nella primavera del 1900, aveva inviato alla Camera dei deputati, per la prima volta, un socialista, nella persona di Alberto Borciani, e già si fecero promotori, attraverso la Camera del lavoro, di una grande manifestazione sull’argomento il 20 aprile del 1902, alla quale presenziarono i comuni interessati e la Deputazione provinciale. Il convegno fu salutato positivamente da tutti. Uomini di sinistra e di destra. Il nuovo progetto, che prevedeva la deviazione per Montecchio, fu approvato poi dalla Provincia il 4 luglio del 1902. Iniziò allora un lungo braccio di ferro tra la Safre di Menada e le cooperative, tanto che dopo una mobilitazione sorretta dalla Camera del lavoro, nel settembre del 1904, nel pieno della polemica contro Menada “La Giustizia” conclude un articolo: “Le cooperative riunendosi in consorzio stanno formando un fascio potente di forze finanziarie che le porrà in grado di stare al passo con le più forti ditte degli appaltatori privati”. La sfida era stata lanciata. Il Consorzio cooperativo di produzione e lavoro “si costituì ufficialmente il 16 ottobre 1904, sulla base di un’adesione di 27 presidenti di cooperative, dieci braccianti, nove muratori, un fornaciaio, un carrozzaio, due birocciai ed un cementore e altri nove lavoratori”. Il Consorzio, alla cui presidenza fu chiamato Giovanni Bolognesi, viene costituito per assumere l’appalto della costruzione e dell’esercizio della ferrovia Reggio-Ciano, con diramazione Barco-Montecchio. Il capitale sociale iniziale ammontava a 406.619 lire e “venne aumentato da facilitazioni di credito da parte della Banca delle cooperative, dell’Istituto di credito della Società Umanitaria di Milano, della Banca d’Italia e della Cassa di risparmio locale”. Giovanni Bolognesi era uno dei cooperatori più popolari. In occasione della sua morte, avvenuta nel novembre del 1919 (gli succederà alla presidenza Domenico Roversi, fratello di Luigi, per anni sindaco di Reggio), Giovanni Zibordi così lo commemorerà: “Parlando di quest’uomo che fu presidente della Società muratori da venticinque anni, del Consorzio da tredici (…) il pensiero non può non correre a Luigi Roversi” (20). Erano entrambi uomini autentici, con un rapporto stretto e radicato con la gente. Intanto la domanda alla amministrazione provinciale era già stata presentata. Il presidente socialista Alessandro Cocchi comunicò con tanto di manifesti che la Provincia stava trattando la subconcessione dei lavori con il Consorzio cooperativo, al quale chiese come cauzione ben 350mila lire (200mila trattenute dal premio della Provincia per la diramazione Barco-Montecchio e 150mila da versare all’apertura dell’esercizio). Da notare che per 80 chilometri della Reggio-Sassuolo erano stati versati solo 150mila lire in cauzione. Come dire: non facciamo preferenze, anzi. La questione della Reggio-Ciano animò lo scontro tra Psi e Grande armata nelle quadruplice consultazione elettorale del 1904-1905 (elezioni parziali comunali di Reggio, elezioni generali comunali, elezioni politiche con ballottaggio). La ferrovia era solo una promessa elettorale e i cooperatori stavano tirando la volata ai socialisti con promesse da marinaio? Apparve anche una gustosa vignetta della Grande armata sugli amministratori socialisti Cocchi, Curtini, Roversi e compagnia dentro un pallone gonfiato. Nessuno poteva credere che i cooperatori fossero in grado di fare il mestiere della Safre, sostituendosi ad essa non solo nella costruzione, ma anche nella gestione di una ferrovia. Anzi. Il 14 marzo del 1905 viene approvata una deliberazione del Consiglio provinciale, proposta dal liberale Gustavo Cipriani e accolta dal presidente socialista Alessandro Cocchi, secondo la quale il 15% degli operai doveva essere assunto non attraverso il consorzio. Si trattava di assumere ben 6.000 operai e Gustavo Cipriani, uomo assai vicino a Giuseppe Menada e all’on. Giuseppe Spallanzani e che quattro anni dopo verrà eletto deputato nel collegio della montagna, aveva proposto una percentuale diversa (la metà) da sottrarre all’influenza delle cooperative. Alla fine s’era raggiunto un accordo sul 15%. Prampolini, nel suo intervento, disse di votare a favore della delibera per disciplina di gruppo, ma di essere contrario, perchè a nessun privato era stato riservato un obbligo simile. D’altronde la questione s’era fatta tutta politica. Se si voleva il voto dei moderati in un Consiglio che era ormai sulla via dello scioglimento, bisognava fare un accordo. E il presidente Cocchi, uomo di mondo, aveva trattato il voto favorevole della minoranza al prezzo di qualche concessione. Certo quel che oggi si sarebbe definito lottizzazione politica degli operai da assumere, allora passò come una normale trattativa tra partiti per il bene della Reggio-Ciano (tanti a te e tanti a me e tutti felici). Anche dopo la delibera approvata, praticamente all’unanimità in Provincia, alla luce dell’accordo Cocchi-Cipriani, le cose non marciavano. Anche il prefetto aveva dovuto approvare la delibera del Consiglio. Ma da Roma arrivavano strane notizie. I deputati liberali Cottafavi e Spallanzani e il sen. Levi si diceva fossero impegnati a convincere il ministero a non concedere la concessione alla Provincia e questa tardava. Si trattava di una decisione nuova. In nessuna parte d’Italia era stata chiesta una concessione per girarla a una cooperativa. Reggio avrebbe dunque potuto fare scuola. D’altronde era tutto in regola. Le leggi permettevano alle cooperative di partecipare agli appalti pubblici ed erano equiparate alle aziende private. Ma potevano anche gestire l’esercizio di una rete ferroviaria? Questo era l’interrogativo. Non esistevano precedenti, ma neanche impedimenti. L’accordo rappresentava solo un momento di attesa. Poi ripartirono le polemiche. Anche perché, tra il 1904 e il 1907, i socialisti andarono in minoranza sia nel Comune di Reggio sia in Provincia. Vinceva Menada con la sua Grande Armata, che aveva invece perso sulla ferrovia Reggio-Ciano. Paradossale, ma vero. Alla fine tutto si risolse. Il 17 febbraio del 1906 venne approvata all’unanimità una delibera per chiedere l’approvazione di tutti gli incartamenti da parte del ministero e il 3 marzo il ministero approvava. Il 15 marzo venne sciolto il Consiglio provinciale e furono indette nuove elezioni, dovute al fatto che il vecchio Consiglio, uscito dalle elezioni dell’anno prima, non riusciva più ad esprimere una maggioranza. Il 13 agosto del 1906 il nuovo presidente liberale della Deputazione provinciale Igino Bacchi Andreoli, e la nuova Giunta, eletta dopo la vittoriosa tornata elettorale antisocialista, accettarono le condizioni del ministero e deliberarono il mutuo di 3.900.000 con la Cassa depositi e prestiti e tutta l’operazione finanziaria per la costruzione della Reggio-Ciano. Doveva essere presentato il progetto definitivo entro 8 mesi, cioè il 13 aprile del 1907, e da quel momento c’erano sei mesi di tempo per iniziare i lavori. Il Consorzio chiese ed ottenne, nell’agosto del 1907, di iniziare ugualmente i lavori a proprio rischio senza che i limiti di tempo fossero scaduti. E così poteva cominciare l’operazione. Il giorno della posa della prima pietra venne organizzata un manifestazione che resterà nelle pagine dei libri di storia. Era il 29 settembre del 1907. E si partì con la stazione della Reggio-Ciano, da costruire a Santo Stefano. Vi parteciparono l’on. Luigi Luzzatti, ex ministro che sarà poi presidente del Consiglio, Meuccio Ruini che poi diverrà deputato della montagna, e sarà ministro e per un breve periodo anche presidente del Senato, l’on. Fabrizio Maffi, Nullo Baldini, ma anche personalità di paesi europei. Tra questi Carlo Gide, il professor Montpellier, il conte Requigny, il prussiano Elm “accolti da Prampolini e Vergnanini che fecero gli onori di casa”. Scrive La Giustizia”: “La festa di ieri resterà memorabile. Non mai l’opera tenace e fervida del proletariato reggiano ebbe più autorevole e caldo riconoscimento di intelletti robusti e di spiriti moderni, né mai ebbe tanto tributo di riconoscimento popolare”. Fin dalle nove e trenta era giunto a Reggio l’on. Luigi Luttazzi, che il giornale socialista definisce addirittura “l’anima alacre e l’intelletto altissimo che onora la vita del lavoro e la dignità della scienza”. Luzzatti, Vergnanini, con il presidente del Consorzio Domenico Roversi, fratello di Luigi, sindaco di Reggio, e il cav. Carlo Tavernari accompagnano il ministro che chiede se il boicottaggio a Reggio sia una costante, a proposito dell’assenza delle autorità centrali. Alla risposta che quell’atteggiamento era ricorrente Luzzatti se ne uscì con un clamoroso “Me ne infischio, a me bastano i miei buoni amici cooperatori”. Alla Banca popolare sono ad attenderlo il presidente Gustavo Cipriani, che era anche consigliere provinciale, e il direttore Otto Wild e la loro presenza è l’unica che testimonia l’esistenza di una transitoria maggioranza a Reggio. Poi, verso mezzogiorno, la banchina della stazione era già piena di notabilità del mondo economico e politico reggiano. Il giornale socialista registra la presenza, tra gli altri, dei deputati Basetti, Borciani, Sichel, del senatore conte Sormani Moretti, dell’on. Camillo Prampolini, dell’avvocato Alessandro Cocchi, dell’avvocato Panizzi, del professor Naborre Campanini. Fuori migliaia e migliaia di lavoratori allietati da due orchestre, quella della Camera del lavoro e quella di Villarotta, che vanno alternando allegre marcette popolari. Poi tutti al Consorzio delle cooperative per un vermouth. Il banchetto venne offerto in un salone dell’Università popolare. Luzzatti esternò tutta la sua meravigliata ammirazione per la cooperazione reggiana: “Io appartengo alla categoria di coloro che non si domandano dove condurrà la cooperazione, perché sa che la cooperazione condurrà ad abolire ogni forma di sfruttamento (…). Noi siamo vecchi. Lasciate che io beva alla vostra salute, al dispregio della paurosa indolenza, al vostro slancio, alla vostra magnifica energia, che farà di voi e dei vostri figli degli uomini indipendenti” (37). Poi tutti al corteo e a Gardenia ancora discorsi. Luzzatti rincarò ancora la dose: “Quando i vostri Cocchi e Basetti mi narrarono questa grande iniziativa a base di cooperazione, fui quasi sorpreso e stordito. A poco a poco mi educai all’idea e diventai più temerario di voi. E poiché vinceremo, l’Italia ammirerà tra poco la grande opera” (38). Ovazioni al ministro convertito a Reggio, mirabile prodigio della terra di Prampolini. In effetti la cerimonia dovette essere almeno pari all’evento. Si trattava della prima volta al mondo per le cooperative. I socialisti, che nelle altre parti d’Europa volevano la rivoluzione, a Reggio costruivano la ferrovia. Gli occhi degli studiosi di mezza Europa si puntarono sulla provincia di Reggio. I lavori presero un notevole impulso nel 1908 e proseguirono nel 1909 e nel 1910. Il 15 agosto del 1909 venne aperto il primo tratto Reggio-Barco con deviazione per Montecchio. Partì dalla stazione di Gardenia un treno con la banda giunta appositamente da Guastalla. Il convoglio, imbandierato, raggiunse Cavriago, accolto da un corteo e da una nuova banda. In piazza, dal balcone del Municipio, parlò il sindaco Arduini. Poi ancora in treno fino a Barco e poi a Montecchio, nella piazza della Rocca, dove si consumò il banchetto coi discorsi di Antonio Vergnanini e di Giuseppe Soglia. Interessante notare che, per l’occasione, a Montecchio si svolse una gara ciclistica, una delle prime, per la distanza di 100 chilometri, vinta da Fantuzzi, secondo Ferrari, terzo Alai, poi tutti gli altri, si nota, “in ottime condizioni di salute e di sudore”. Insomma ancora vivi. Il 6 luglio del 1910 venne aperto il tronco fino a San Polo con le solite feste e gare e l’8 ottobre del 1910 il trenino della cooperazione poteva raggiungere Ciano, ma l’inaugurazione, prevista per domenica 9 ottobre, venne rinviata per i luttuosi fatti di Scafati e per l’indisponibilità dei ministri Luzzatti e Sacchi. Il congresso nazionale socialista di Milano della fine di ottobre e l’inverno incipiente consigliarono di rinviare ancora tutto. Ma la ferrovia intanto prese a funzionare. Il 15 gennaio del 1911 la ferrovia Reggio-Ciano venne allacciata alla ferrovia statale. Carlo Gide, che aveva partecipato all’inaugurazione della posa della prima pietra, all’esposizione cooperativa di Gand del 1925 ricordò: “La linea non è molto lunga (30 Km) ed essa non apporta grandi dividendi, ma soltanto copre le sue spese, ma io non so se vi sia al mondo un altro esempio di una cooperativa operaia concessionaria di una ferrovia. Si vede in ciò un esempio rimarchevole di questa evoluzione che tende a fare della cooperazione un servizio pubblico e che si trova delle Gilde tedesche e in Inghilterra”. Così a Reggio sì compì il miracolo. Le cooperative avevano completato l’opera e avevano pienamente rispettato i tempi e i costi. Così a Reggio si crearono due diverse centrali ferroviarie: la Safre, che continuava a gestire la Guastalla-Reggio-Sassuolo, con diramazione per Carpi e il Consorzio di produzione e lavoro che gestiva la Reggio-Ciano, con diramazione per Montecchio e che poi si trasformerà in Consorzio delle ferrovie reggiane. La conflittualità politica non poteva che generare un’altrettanto forte conflittualità economica. La nuova ferrovia iniziò a funzionare. La Camera del lavoro, nell’agosto del 1911, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, “organizzò una gita all’Esposizione permanente di Torino, allora capitale del Regno. Per concessione speciale del ministro si ottenne che il treno principale fosse composto esclusivamente dalle macchine e carrozze di proprietà della Reggio-Ciano” (42). Le due macchine che trainavano i convogli erano battezzate “Andrea Costa” e “Rochade”, firme socialiste, costruite, assieme ad altre due, dalle Officine Reggiane. L’organico del Consorzio nel 1913 fu di 74 dipendenti, 34 dei quali assunti nel 1909. Il 30 marzo del 1912 il governo, per bocca del ministro Sacchi, aveva dichiarato alla Camera la rinuncia a riscattare la Reggio-Ciano, come avrebbe consentito il contratto di concessione. Il chè avrebbe permesso di ritornare sulla decisione solo 70 anni dopo. Il reddito annuo per chilometro, che nel 1911 (nel 1909 e nel 1910 si potevano solo fare bilanci di tratte parziali) era stato di 5.700 lire, nei primi tre mesi del 1912 era aumentato con un introito in più di 9mila lire. Negli anni seguenti venne ripreso il progetto del prolungamento della Reggio-Ciano fino a Castelnovo monti ed eventualmente fino ad Aulla, per collegarsi alla Spezia-Aulla-Parma, sostenuto soprattutto da Meuccio Ruini, poi ebbe il sopravvento un progetto per unire Reggio a Vezzano e a Casina, con prolungamento per Castelnovo. Né l’una né l’altra ferrovia vedranno però la luce, per problemi di finanziamento e di difficoltà territoriale. Nascerà invece la Reggio-Po, fino a Brescello, collegata alla Parma-Gonzaga, inaugurata dal presidente del Consiglio Benito Mussolini nell’ottobre del 1926. In quell’occasione Menada sarà sindaco di Reggio e accoglierà l’eccelso ospite con gli onori del caso. Quest’ultimo non perse occasione per fare una capatina nella sua Pieve Saliceto, dove 24 anni prima era stato maestro elementare, facendo innamorare una donna sposata del luogo. Assai prima, nel 1912, al Congresso di Reggio, quando Mussolini era ancora socialista, si organizzò una gita dei delegati proprio a Ciano, col treno delle cooperative. Chissà che impressione avrà fatto al futuro duce del fascismo, che allora era convinto che i socialisti dovessero fare la rivoluzione e non certo attardarsi in simili opere, quel bel panorama che porta fino al castello di Matilde. Forse lo avrà ricordato, da presidente del consiglio, mentre nel 1926 intravedeva le basse lande nella nebbia dai finestrini del treno verso Brescello…
Leave your response!