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Fermare la desertificazione degli stadi

19 Novembre 2012 1.463 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Anche in serie A il pubblico degli stadi, negli ultimi anni, è ovunque diminuito, compreso quello di Napoli e Milano. La Juventus ha costruito un impianto di soli 40mila posti, dai 70mila dei quali disponeva il vecchio Delle Alpi, e il Cagliari addirittura uno di 16.800, dai 35mila del vecchio Sant’Elia. Se escludiamo partite eccezionali come i derby (ma neanche quelli riescono ormai a riempire l’Olimpico, se per Lazio-Roma erano presenti poco più di 50mila spettatori), i nostri stadi, in campionato e ancor più nella coppe, restano desolatamente semivuoti, contrariamente a quelli inglesi, tedeschi e anche spagnoli. Il pubblico italiano è ormai paragonabile a quelli dell’Est europeo, che una volta, ricordo le prime dirette di Telecapodistria, impressionavano per la sconsolante esiguità degli spettatori. Questa affermazione si addice ancor più per la serie B e per la Legapro. In serie B il pubblico si è rarefatto e rispetto agli anni ottanta si è ridotto a meno di un terzo. Si tratta di un dato impressionante. Leggiamo i tabellini di domenica scorsa comprensivi della somma tra paganti e abbonati, arrotondati per approssimazione. A Vercelli, primo anno di B dal dopoguerra, erano in meno di 1.900, più o meno quelli che si contano nelle partite interne del Grosseto. A Reggio Calabria, in uno stadio da quasi 30mila posti, erano in 3mila, a Empoli in 2.200, a Lanciano, primo anno di B da sempre, in meno di 2.300. A Livorno, terzo in classifica, erano in poco più di 4.500, a La Spezia, squadrone costruito per la serie A, in 5.500. Le 6mila unità sono state superate solo a Vicenza e a Padova, ma di poco. Se escludiamo i casi particolari di Verona e di Cesena, il pubblico di B è paragonabile a quello di terza serie di trent’anni fa. In Legapro la situazione è ancora più deprimente. Se escludiamo casi del tutto eccezionali, come Lecce, Perugia e, solo parzialmente quest’anno, Pisa, la media si aggira dalle 300 alle 3mila unità. Nel girone A il Portogruaro, la Tritium, il San Marino, il Feralpi Salò, il Lumezzane, il Treviso, l’Entella, il Pavia oscillano tra le 300 e le 800 presenze, mentre l’Albinoleffe, il Cuneo, il Carpi, il Sudtirol, il Como, superano appena le mille. A più di duemila sono attestate solo Reggiana, Cremonese e Trapani. Un deserto. E la cosa che più stupisce è che sia gli organi federali, sia quelli di Lega, sia le stesse societá sportive continuino a non muovere un dito e a non considerare il fatto che senza pubblico il calcio è destinato a morire. Perché negli altri Paesi non è così? Prendiamo il caso Inghilterra. Cosa fa diversa l’Italia dall’Inghilterra? Si parla solo degli stadi. Ma davvero si pensa di risolvere questo problema semplicemente costruendo dieci stadi nuovi per la serie A, che certo potranno migliorare un’affluenza in contenitori che si prevedono peraltro ovunque più piccoli? Innanzitutto, nella patria di Elisabetta non esistono, come in nessun paese europeo, i biglietti nominativi e negli stadi si può entrare acquistando il biglietto anche un minuto prima della partita. Poi, nel pomeriggio dei sabati calcistici, viene trasmessa da Sky solo una partita in diretta, onde tutelare il pubblico degli stadi. Certo, negli stadi inglesi, non sono presenti separazioni tra pubblico e campo e non esistono impianti che non siano coperti integralmente e che siano dotati di piste d’atletica leggera o di ciclismo. Ma in Inghilterra sono anche stati sciolti i gruppi violenti, dopo la strage dell’Heysel. Questo per fare degli stadi il luogo sicuro per le famiglie. Si è cioè selezionato l’intervento repressivo mirandolo esclusivamente contro i più esagitati. In Italia si è fatto l’opposto. E cioè, con misure repressive e inquisitorie generalizzate, si è messo in condizione le persone per bene di abbandonare gli stadi e i gruppi del tifo più estremista di continuare a frequentarlo. E si sono sprecati biglietti nominativi, tornelli, prefiltraggi, gabbie per gli ospiti, enormi spazi di separazione tra i tifosi, come a Firenze e a Roma, militarizzazione degli impianti dentro, quando da decenni tutti i più gravi incidenti sono avvenuti fuori. E si sono considerati tutti i tifosi uguali, potenzialmente criminali senza alcuna selezione. Così chi si sentiva persona per bene ha preferito la poltrona. Mi limito, per ora, a proporre alcune misure che potrebbero essere assunte, limitatamente alla Legapro, in linea sperimentale. La prima è di esentare gli stadi di Legapro dai biglietti nominativi. È evidente che sono pochi coloro che acquistano in prevendita biglietti per una gara non particolarmente significativa, senza sapere che tempo farà alla domenica o se ne avrà ancora voglia. Una decisione del genere consentirebbe al pubblico di accedere agli stadi senza limitazioni e direttamente pochi minuti prima dell’inizio della gara. Questo potrebbe essere condizionato dall’assenso delle locali questure. Una seconda decisione potrebbe essere quella di permettere l’abbonamento anche a coloro che sono sprovvisti della tessera del tifoso e di consentire le trasferte non a rischio a tutti i tifosi, obbligandoli magari a qualche forma di gemellaggio e di “terzo tempo” coi tifosi locali. Per tutta la Legapro si potrebbe anche sperimentare l’abbattimento di tutte le barriere, sulla scorta di quanto già avviene negli stadi della Juventus e, sia pur limitata alla zona dei distinti, a Cesena. Sempre per la Legapro si dovrebbero anche praticare prezzi minimi dei posti popolari a 5 euro e attrezzare zone famiglia, con forti sconti sui biglietti. E, magari, anche lanciare campagne abbonamenti che consentano ai ragazzi sotto i 16 anni e alle donne di entrare gratuitamente. Ma senza una revisione delle trasmissioni di Sky anche la Legapro continuerà ad essere danneggiata. E si torna al primo discorso. Decidano i signori del calcio, a cominciare da quelli della Lega, se in Italia il calcio debba essere destinato a diventare soprattutto, se non esclusivamente, un fenomeno televisivo o se anche il fenomeno televisivo debba essere condizionato all’evento sportivo che si disputa sul campo. Meno partite e soprattutto più esenzioni, ad esempio quelle per le squadre che giocano in casa, potrebbero  contribuire a popolare non solo gli stadi della seria A, ma anche quelli delle serie inferiori.

Mauro Del Bue

Inviato da iPad

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